
Invalsi, Ricci: ‘E’ arrivato il momento di adeguare le prove di valutazione ai cambiamenti della società’. L’intervista

Il tema della valutazione scolastica è sempre di grandissima attualità e riguarda tutti i soggetti dei processi formativi, gli studenti e le famiglie in primo luogo, ma anche i docenti, che hanno bisogno di tenere sotto controllo le procedure didattiche, e gli stessi decisori politici che devono poter “misurare” in qualche modo l’efficacia delle proprie scelte di sistema. Da un quarto di secolo l’Invalsi dà un contributo importante in questo ambito. Ne parliamo con il Presidente dell’Istituto, il Professore Roberto Ricci.
L’INVALSI come strumento di misurazione: a distanza di anni, e con la sua esperienza diretta, ritiene che l’INVALSI sia uno strumento efficace e sufficiente per rilevare lo “stato di salute” della scuola italiana? O pensa che le sue rilevazioni offrano solo una visione parziale e non esaustiva?
“Nel corso degli anni le prove INVALSI hanno assunto un ruolo sempre più rilevante sia sul piano della politica scolastica, sia come stimolo per iniziative di approfondimento didattico-metodologico promosse dalle singole istituzioni scolastiche. Oggi le esperienze di utilizzo dei dati restituiti dalle prove si contano a migliaia, a testimonianza di come esse abbiano progressivamente generato pratiche di riflessione e di miglioramento, spesso con ricadute significative sull’organizzazione e sulla progettazione didattica. Tuttavia, è opportuno ricordare che, come qualsiasi altro strumento di misurazione, le prove INVALSI esprimono la loro efficacia soprattutto se integrate all’interno di un ventaglio più ampio di strumenti e approcci di analisi. In questo senso, accanto agli indicatori quantitativi, risulta imprescindibile valorizzare anche le dimensioni qualitative dell’esperienza scolastica, che comprendono la conoscenza diretta del contesto da parte dei docenti, la loro esperienza professionale e la capacità delle scuole di leggere in profondità i propri processi formativi. Ogni visione, compresa quella restituita dai dati standardizzati, è per definizione parziale. Tuttavia, l’insieme delle diverse prospettive – dai risultati delle prove nazionali alle valutazioni interne delle scuole – consente di delineare un quadro decisamente più chiaro e articolato del funzionamento del sistema scolastico. In tale prospettiva, gli esiti delle prove INVALSI esplicano la loro maggiore utilità come strumento di raccordo: da un lato mettono in relazione l’azione del singolo docente e della singola scuola con obiettivi di apprendimento condivisi a livello nazionale; dall’altro rappresentano un presidio di inclusione e di qualità, nella misura in cui orientano l’attenzione verso traguardi comuni, contrastando il rischio di frammentazione e disuguaglianza.
Pertanto, alla domanda se l’INVALSI sia uno strumento sufficiente per fotografare lo ‘stato di salute’ della scuola italiana, si può rispondere, a mio parere, che esso costituisce senza dubbio un dispositivo efficace, ma non esaustivo. La sua reale forza risiede nell’essere utilizzato in modo complementare ad altri strumenti valutativi e interpretativi, all’interno di una visione sistemica che riconosca la pluralità dei fattori in gioco nel processo educativo. In tal senso, l’INVALSI è un osservatorio privilegiato, ma non esclusivo, capace di offrire elementi preziosi se interpretati criticamente e contestualizzati nelle specificità di ogni scuola”.
Punti di forza e criticità: quali ordini di scuola, secondo i dati che lei ha potuto analizzare, hanno mostrato i risultati più preoccupanti e quali, al contrario, sembrano essere più solidi? Ci sono aree del Paese o tipologie di istituti in cui le criticità sono più evidenti?
“Dall’analisi dei dati contenuti nel Rapporto Nazionale INVALSI 2025 emerge un quadro complesso e stratificato, che consente di individuare sia ordini di scuola e territori caratterizzati da maggiore solidità, sia aree e gradi scolastici in cui le criticità appaiono più marcate. Nel complesso, la scuola primaria si conferma l’ordine più stabile, pur evidenziando un lieve calo nei risultati medi rispetto al periodo pre-pandemico. Già a partire dalla seconda primaria si manifestano tuttavia divari territoriali importanti, in particolare a sfavore del Mezzogiorno, con differenze che si accentuano al termine della primaria e che risultano particolarmente gravi in Matematica. La Sardegna rappresenta un caso emblematico, con risultati medi sensibilmente inferiori rispetto alle regioni del Centro-Nord, circostanza che produce effetti negativi negli ordini di scuola successivi. Nella scuola secondaria di primo grado la situazione appare più preoccupante, poiché il divario territoriale si traduce in una sostanziale diseguaglianza di opportunità educative. In Italiano e in Matematica, mentre nel Centro-Nord circa il 60% degli studenti raggiunge livelli adeguati di competenza, nel Sud e nelle Isole tale percentuale si riduce drasticamente, tanto che in regioni come Calabria, Sicilia e Sardegna meno della metà degli studenti conclude il primo ciclo con competenze sufficienti per affrontare il percorso successivo. A differenza di queste tendenze, l’Inglese rappresenta un punto di forza trasversale, con risultati in costante crescita e miglioramenti generalizzati su tutto il territorio nazionale.
Per quanto riguarda la scuola secondaria di secondo grado, i dati restituiscono una situazione ulteriormente articolata. Nel secondo anno si registra una lieve ripresa negli esiti di Italiano, ma i divari territoriali rimangono ampi, mentre in Matematica la quota di studenti con competenze almeno accettabili nel Nord Ovest supera di oltre ventisette punti percentuali quella registrata nel Sud e nelle Isole. All’ultimo anno la condizione si fa ancora più critica: gli esiti medi di Italiano e di Matematica risultano inferiori a quelli del 2019, con un peggioramento particolarmente evidente nel Centro-Sud. Nelle regioni settentrionali circa il 60% degli studenti raggiunge la soglia di competenza, mentre nel Mezzogiorno la percentuale cala drammaticamente, fino a toccare valori tra il 30 e il 40% in Campania, Calabria e Sicilia. Particolarmente grave è la situazione della Sardegna, dove circa il 70% degli studenti non raggiunge i livelli minimi di accettabilità in Matematica.
L’analisi territoriale evidenzia con chiarezza la maggiore solidità delle regioni settentrionali, in particolare Valle d’Aosta, Lombardia, Trentino-Alto Adige, Veneto ed Emilia-Romagna, che non solo ottengono esiti medi più elevati, ma riescono anche a garantire una relativa equità nella distribuzione dei risultati. Al contrario, le regioni del Mezzogiorno e delle Isole si collocano in una posizione di maggiore fragilità, poiché ai bassi livelli medi si accompagna una forte polarizzazione interna tra studenti con risultati molto buoni e studenti in grave difficoltà. A ciò si aggiungono differenze legate alla tipologia di istituto: i licei conseguono mediamente risultati migliori rispetto agli istituti tecnici e professionali, con una distanza che si fa più marcata nelle aree meridionali.
Va tuttavia sottolineato che una parte della contrazione degli esiti medi deve essere letta in connessione con un dato estremamente positivo: la forte riduzione della dispersione scolastica esplicita (ELET). L’ampliamento della platea di studenti che prosegue e conclude il proprio percorso scolastico comporta infatti l’inclusione di una quota crescente di giovani che in passato avrebbero abbandonato precocemente. Questo processo, pur producendo inevitabilmente un abbassamento statistico dei livelli medi, rappresenta un progresso decisivo sul piano dell’equità e dell’inclusione, poiché garantisce a fasce più ampie di popolazione l’accesso all’istruzione e l’opportunità di raggiungere traguardi formativi essenziali”.
L’INVALSI, oltre a fotografare la situazione, ha la possibilità e il compito di proporre soluzioni o indirizzi per il miglioramento? Quali sono, a suo parere, le piste di aiuto più urgenti che sono emerse dai dati in tutti questi anni?
“Pur nella consapevolezza che la missione istituzionale dell’INVALSI non si sovrappone a quella di altri soggetti tradizionalmente deputati alla formazione e alla ricerca educativa, quali INDIRE e le Università, va riconosciuto come anche l’Istituto abbia negli anni contribuito a sostenere processi di sviluppo professionale dei docenti e delle scuole, in particolare sui temi della valutazione e dell’uso dei dati a fini didattici. L’INVALSI, infatti, non si limita a restituire i risultati delle prove come semplice “fotografia” dello stato del sistema, ma si pone sempre più come attore capace di stimolare la riflessione educativa e di fornire strumenti utili all’elaborazione di strategie mirate, al fine di connettere la misurazione degli apprendimenti con il miglioramento delle pratiche didattiche. Prova ne sia il crescente utilizzo dei dati prodotti dall’Istituto sia da parte delle istituzioni scolastiche, come già detto, sia degli enti di ricerca e di istituzioni universitarie e accademiche a livello nazionale e internazionale, In questa prospettiva, le piste di lavoro che appaiono oggi più urgenti riguardano innanzitutto il consolidamento degli apprendimenti, con particolare riferimento alle competenze di base, che costituiscono il prerequisito essenziale per la prosecuzione dei percorsi formativi e per la piena cittadinanza. Tale obiettivo richiede una forte attenzione all’operatività e all’implementazione di soluzioni concrete, capaci di incidere realmente sulle difficoltà riscontrate nei diversi ordini di scuola e nelle differenti aree del Paese. L’urgenza non si colloca dunque solo sul piano dell’analisi, ma soprattutto su quello dell’azione, nella direzione di un accompagnamento sempre più mirato alle scuole, affinché possano tradurre i dati in interventi didattici efficaci, equi e inclusivi, capaci di rispondere ai bisogni specifici degli studenti e di garantire il rafforzamento delle competenze fondamentali che rappresentano la base irrinunciabile per lo sviluppo personale e sociale”.
Di fronte al dibattito sempre acceso, non crede che sia arrivato il momento di “andare oltre” le sole rilevazioni INVALSI? Quale futuro immagina per la valutazione del sistema scolastico, magari integrando le attuali rilevazioni con nuovi strumenti o metodologie?
“È certamente giunto, e da tempo, il momento di adeguare le prove di valutazione ai grandi cambiamenti che stanno attraversando la società e la scuola, in primo luogo la transizione digitale, che non può essere considerata un semplice contesto esterno, ma una dimensione strutturale dei processi di insegnamento e apprendimento. In questa prospettiva, il futuro della valutazione non può limitarsi alle sole prove standardizzate, pur fondamentali per garantire comparabilità e rigore metodologico, ma deve aprirsi all’integrazione con nuovi strumenti e metodologie capaci di cogliere aspetti più complessi, dinamici e situati dell’esperienza educativa. Tra questi strumenti un ruolo centrale sarà inevitabilmente assunto dall’intelligenza artificiale, la quale, lungi dall’essere percepita come un elemento di disturbo, dovrebbe essere inclusa in un quadro cooperativo della valutazione, consentendo analisi più sofisticate e personalizzate, senza mai però attenuare l’attenzione al rigore e alla qualità degli apprendimenti, che rimangono il fine ultimo dell’insegnamento. È altresì indispensabile che la ricerca in questo campo si mantenga situata, capace di leggere i contesti concreti e le specificità territoriali e sociali, assumendo l’abito dell’umiltà proprio di un autentico spirito di servizio, che considera la valutazione non come fine in sé, ma come strumento per accompagnare le scuole, i docenti e gli studenti in un percorso di miglioramento continuo. La sfida è dunque quella di coniugare l’affidabilità e la solidità delle prove standardizzate con la capacità di innovazione offerta dalle nuove tecnologie, delineando un modello di valutazione integrata in cui i dati quantitativi si affianchino a informazioni di natura qualitativa, restituendo una rappresentazione più completa della realtà scolastica e rendendo la valutazione non soltanto un esercizio di misurazione, ma un autentico strumento di accompagnamento e di crescita per l’intero sistema educativo”.
Da quest’anno per la prima volta e a livello campionario, nelle classi seconde della scuola secondaria di secondo grado sono state valutate le competenze digitali degli studenti e gli esiti sono incoraggianti. Quali indicazioni trarre per il futuro?
“La prima rilevazione nazionale delle competenze digitali, condotta nel 2025 su base campionaria nelle classi seconde della scuola secondaria di secondo grado, costituisce un passaggio significativo nell’evoluzione del sistema di valutazione, poiché amplia lo spettro delle dimensioni osservate includendo una competenza ormai imprescindibile per la cittadinanza e per l’inserimento nel mondo del lavoro. I risultati, nel complesso incoraggianti, mostrano che la maggior parte degli studenti si colloca tra il livello intermedio e quello avanzato nelle quattro aree indagate – comunicazione e collaborazione, creazione di contenuti digitali, alfabetizzazione su informazioni e dati, sicurezza – evidenziando un quadro mediamente in linea con le attese al termine dell’obbligo di istruzione. La minore polarizzazione geografica rispetto alle tradizionali prove di Italiano e Matematica suggerisce che le competenze digitali, pur risentendo anch’esse del contesto socio-economico e delle differenze tra indirizzi di studio, presentano margini di equità più ampi e dunque rappresentano un terreno privilegiato per politiche educative orientate all’inclusione. Le indicazioni che si possono trarre guardano a un duplice orizzonte: da un lato consolidare il monitoraggio su base censuaria, affinché l’intero sistema possa beneficiare di dati comparabili e sistematici; dall’altro integrare i risultati con azioni didattiche mirate che rafforzino l’uso consapevole e critico delle tecnologie, trasformando la competenza digitale in risorsa per l’apprendimento e non in mero strumento tecnico. La sfida per il futuro sarà quindi quella di sostenere le scuole nell’elaborare percorsi curriculari coerenti con il quadro europeo DIGCOMP 2.2, affinché le competenze digitali si sviluppino in modo equilibrato accanto a quelle linguistiche e matematiche, costituendo non solo un elemento di innovazione, ma anche un presidio di equità e di qualità dell’intero sistema educativo”.
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