Il superamento dello squilibrio territoriale dei TFA richiede soluzioni strutturali

La formazione degli specializzati non può continuare a essere un’esclusiva delle università”. E’ stata chiara e netta la segretaria generale della Cisl-scuola, Ivana Barbacci, che a margine dell’incontro del 6 marzo al Ministero sull’applicazione del decreto-legge 71/2024 sulla specializzazione del sostegno di docenti supplenti presso l’INDIRE, ha criticato duramente la gestione da parte delle Università dei corsi TFA per la specializzazione di docenti per il sostegno agli alunni con disabilità.

La situazione del sostegno – ha dichiarato – presenta da tempo aspetti paradossali, che abbiamo ripetutamente denunciato, evidenziando soprattutto gli squilibri pazzeschi tra aree territoriali, frutto di una offerta formativa gestita interamente dal sistema universitario, una modalità che si sta rivelando, nei fatti, assolutamente inadeguata.

La Barbacci non ha messo in discussione la qualità dei corsi TFA, ma la gestione nei territori da parte del sistema universitario.

Lo squilibrio territoriale, come ha accertato Tuttoscuola, è attestato dal numero di specializzati nei diversi cicli dei corsi TFA in questi termini:

Docenti specializzati nei corsi TFA gestiti dal sistema universitario

Come si vede, le Università del Nord Italia hanno specializzato soltanto il 17% degli oltre 150mila docenti, mentre quelle del Centro-Sud hanno specializzato l’83%.

Lo squilibrio ha avuto effetti pesantemente significativi nel rapporto tra domanda e offerta, come evidenziato dalla stessa Barbacci “abbiamo territori in cui c’è abbondanza di specializzati senza opportunità di assunzione, e altri nei quali un altissimo numero di posti continua a rimanere scoperto, per mancanza di personale fornito di titoli, rendendo inevitabile il ricorso a personale precario non specializzato”. Grande assente, una programmazione dei fabbisogni di docenti sul territorio e una coerente gestione dell’offerta formativa.

I recenti concorsi per il sostegno dei PNRR/1 e PNRR/2 ne sono una prova eloquente soprattutto per i posti di infanzia e primaria.

Nel suo post la Barbacci ha rilevato che “i corsi Indire, in questo contesto, possono rappresentare una prima risposta, anche necessaria ma che non risolve in via strutturale e definitiva il problema”.

Occorre andare oltre l’emergenza con soluzioni strutturali per le quali “servono garanzie precise sulla qualità dei percorsi e sull’effettiva equivalenza dei titoli che in modi diversi verranno conseguiti”, compresi i titoli conseguiti all’estero per i quali ha chiesto di verificarne rigorosamente la rispondenza a standard di qualità compatibili con quelli dei titoli conseguiti in Italia.

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