
Su quale quesito saranno chiamati a pronunciarsi il 26 maggio i cittadini bolognesi? Eccolo: “Quale fra le seguenti proposte di utilizzo delle risorse finanziarie comunali che vengono erogate secondo il vigente sistema delle convenzioni con le scuole d’infanzia paritarie a gestione privata ritieni più idonea per assicurare il diritto all’istruzione delle bambine e dei bambini che domandano di accedere alla scuola dell’infanzia?
a) utilizzarle per le scuole comunali e statali.
b) utilizzarle per le scuole paritarie private.
Il segretario provinciale del PD bolognese, Raffaele Donini, ha definito questo quesito “fuorviante”, schierandosi con il sindaco Virginio Merola, contrario all’abrogazione dei finanziamenti e deciso a non cambiare linea anche in caso di vittoria dell’ipotesi a). Secondo Merola, l’attuale modello integrato di scuola dell’infanzia “permette di avere qualità educativa diffusa e di non lasciare a casa i bambini quando i tagli del governo diventano insostenibili”. E’ questa “per noi la scuola pubblica, non un’altra che non c’è”.
In effetti, ponendo in alternativa le due opzioni, si lascia intendere che, togliendo i contributi alle scuole paritarie a gestione privata per darli alle scuole comunali e statali, aumenti automaticamente il numero dei posti disponibili nelle comunali e statali e diminuisca un corrispondente numero di posti nella privata. Ma non è assolutamente così.
Per aumentare i posti per i bambini occorre avere nuove scuole e un maggior organico di docenti con costi enormemente maggiori dei contributi dirottati dalle private e con tempi computabili in anni.
Per contro, le paritarie, senza contributi comunali dovrebbero alzare le rette per le famiglie o chiudere. L’effetto, in ogni modo, sarebbe quello di provocare una pressione delle famiglie sulle scuole comunali e statali, facendo aumentare a dismisura le liste di attesa.
È davvero questo che i promotori del referendum vogliono?
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