L’apprendimento del latino e del greco e soprattutto degli strumenti per tradurre dalle lingue antiche in quelle moderne richiede un forte carica intuitiva che, secondo scienziati e matematici è parte essenziale del processo intellettuale. Per questo il loro insegnamento non va abbandonato. È questo il senso di una tre giorni di convegno, dal 12 al 14 aprile, tra Torino e Ivrea, alla quale parteciperanno i maggiori classicisti italiani ed europei.
“Si possono, anzi si devono insegnare queste lingue anche in modo moderno con l’ausilio di lavagne interattive e strumenti tecnologici avanzati per avvicinare a loro i giovani che sono nativi digitali – ha detto Ugo Cardinale, per 20 anni docente di linguistica generale all’Università di Trieste e oggi preside del liceo internazionale Botta di Ivrea e membro del comitato scientifico del convegno – in questo modo i ragazzi potranno impadronirsi di strumenti intellettivi fondamentali”.
“Tradurre dalle lingue antiche è molto più difficile che tradurre da lingue vive perché manca un contesto di riferimento – ha detto Luciano Canfora, docente di filologia classica all’Università di Bari e anche lui nel comitato scientifico – è un processo che offre una grande ricchezza formativa molto utile per creare i processi logici di apprendimento necessari per capire le complessità della vita sociale e lavorativa futura”.
Al convegno, ha aggiunto Canfora, “si cercherà di indagare come e perché continuare ad insegnare latino e greco nei nostri licei”. “In Italia, anche dopo l’ultima riforma scolastica, le lingue classiche sono ancora piuttosto considerate – ha aggiunto – e per questo molti docenti e intellettuali guardano a noi con interesse. So per esempio che Stamatis Busses, docente alla Demokritos, in Tracia, verrà a dirci che in Grecia si studia meno il greco antico e che questo è visto come un problema”.
Canfora ha poi concluso ricordando come le grandi biblioteche europee e americane siano piene di testi classici, soprattutto in latino, che non potrebbero più venir studiati se nessuno conoscesse più quelle lingue. “Lingue morte, sì – conclude Canfora – che vanno insegnate come lingue vive”.
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