Elezioni e referendum stabilizzano il governo (e l’Azzolina)

Secondo la quasi unanime valutazione degli analisti politici l’esito delle elezioni amministrative e quello del referendum sul taglio del numero dei parlamentari hanno rafforzato la stabilità dell’attuale governo, allontanando ulteriormente la prospettiva delle elezioni politiche anticipate che i partiti della coalizione di centro-destra avrebbero reclamato nel caso di una loro vittoria nelle regionali e/o di una sconfitta dei sì (cioè soprattutto del Movimento 5 StAelle) nel referendum.

E invece, anche se le turbolenze in casa 5 Stelle costituiscono un elemento di disturbo negli equilibri interni della maggioranza che sostiene il governo Conte, resta comunque assai improbabile che venga toccata la struttura dell’esecutivo, e dunque la posizione dei ministri considerati nei mesi scorsi più in bilico, con Lucia Azzolina in prima fila (in questi giorni premiata da Fidapa Bpw Italy, Federazione Italiana Donne Arti Professioni Affari, “per la tenacia, tutta femminile, con cui al di là  di ogni stereotipo ha ridato alla Scuola italiana la sua imprescindibile dimensione di socialità”). 

Si apre dunque, anche tenuto conto dell’arrivo delle importanti disponibilità finanziarie legate al Recovery Fund, una fase di riprogrammazione della spesa pubblica per investimenti, tra i quali quella per istruzione e ricerca, che coprirà un periodo relativamente lungo, da oggi alla primavera del 2023, quando gli italiani saranno chiamati ad eleggere (non si sa ancora con quale legge elettorale) 400 nuovi deputati e 200 nuovi senatori, come definitivamente stabilito dal referendum del 20-21 settembre 2020.

Ha scritto bene Michele Serra su Repubblica: “Sulla priorità della scuola nella vita sociale del nostro Paese non risulta esistano voci contrarie. Eppure questo unanime sentimento filo-scolastico non produce, e da molti anni, una risposta politica lontanamente proporzionale alla fortissima ‘domanda di scuola’. Probabile che questo accada soprattutto perché la formazione degli italiani futuri è il classico investimento a lungo termine, e la tragedia della politica dei nostri tempi, devastata dal marketing elettorale, è avere lo sguardo corto e il respiro mozzo, come se tutto quanto si fa, fosse da mettere a bilancio domattina”.

Il dibattito sulla spesa per l’istruzione si è fatto finalmente intenso negli ultimi mesi, e ad esso hanno partecipato importanti personalità del mondo economico-finanziario, da Mario Draghi a Ignazio Visco, che hanno insistito entrambi sulla necessità che tale spesa sia “di qualità”, legata cioè all’acquisizione da parte degli studenti di competenze utili per il lavoro del futuro, che sarà fortemente legato all’innovazione tecnologica e perciò in buona misura flessibile, cangiante e imprevedibile (secondo una stima del Forum economico mondiale del 2016 quasi due terzi degli studenti delle scuole materne di oggi avranno occupazioni attualmente non esistenti).

Tra le competenze considerate necessarie ci sono quelle di base (lingua materna, matematica, scienze, informatica), quelle personali o trasversali (capacità di adattamento e di collaborazione, creatività, spirito critico, e la fondamentale capacità di imparare a imparare), e solo per il breve periodo quelle tecnico-professionali. È pronta la scuola italiana, con il suo DNA ricco di cultura umanistica, a reggere una sfida che si gioca sulla frontiera dell’innovazione tecnologico-scientifica più avanzata? Sarà capace di trovare una sintesi tra umanesimo e tecnologia? In che direzione investire? Il dibattito è aperto, e le voci (opportunamente) dissonanti, come si mostra nella newsletter di questa settimana.