TFA: il mercato drogato dei corsi

Va inoltre considerato che questa specie di liberalizzazione selvaggia dei corsi TFA rischia di introdurre gravi elementi di distorsione nel mercato del lavoro degli aspiranti insegnanti perché – ove si concretasse nei termini quantitativi indicati – affiancherebbe a una minoranza di docenti selezionati su base meritocratica un numero probabilmente assai maggiore di docenti non selezionati, o magari a suo tempo non ammessi alle SSIS, ma in possesso di titoli di servizio che aumenterebbero le loro future chances occupazionali se saranno confermati, come tutto lascia temere, meccanismi di reclutamento fondati sullo scorrimento automatico e a-meritocratico di graduatorie sulle quali i titoli di servizio peserebbero in modo determinante.

Altra conseguenza sarebbe l’enorme aumento del numero degli iscritti ai TFA, che le università potrebbero non reggere (decentemente) dal punto di vista organizzativo e scientifico, ma che esse sarebbero indotte ad accogliere nella misura del possibile, e anche dell’impossibile, per rimpinguare i loro magri bilanci.

Il costo individuale per la frequenza del TFA è mediamente di 2.500 euro, con punte di 3.000 e più, cui si aggiungono 100-150 euro per le prove di selezione: una entrata per le università di circa 50 milioni che potrebbe raddoppiare o triplicare a seguito dell’insperato arrivo degli ammessi senza selezione. Una tentazione irresistibile per gli amministratori delle università, ma certo non un toccasana per la qualità della formazione iniziale dei futuri insegnanti.