Tuttoscuola: Non solo statale

Rapporto Almalaurea: Solo l’8% dei neolaureati non lavora, ma…

...Il Rapporto dipinge un quadro a tinte fosche: Solo 30 diciannovenni su 100 scelgono l'università

Lavorano e guadagnano poco i neolaureati italiani. E sono in pochi quelli finite le superiori si iscrivono alle Università. Sembra logico e invece non lo è, perché per i giovani senza un titolo di studio di terzo livello le cose, nel cercare lavoro, vanno ancora peggio e molto. Se servissero altri elementi per dimostrare come quello dell’occupazione giovanile sia il tema dei temi nel Paese, questi arrivano dal XVI rapporto, presentato ieri a Bologna, di Almalaurea, consorzio interuniversitario che riunisce 64 atenei italiani, che ha raccolto i dati di 450mila studenti.

Solo il 30% dei diciannovenni si è iscritto a un programma di studi di livello universitario. Un dato che allontana in maniera incolmabile l’obiettivo fissato dalla Commissione Europea per il 2020, ovvero il raggiungimento del 40% di laureati nella popolazione tra i 30 e i 34 anni. Ad oggi, tra i 25 e i 34 anni ha infatti un titolo di istruzione di terzo livello solo il 21% degli italiani. In Giappone sono il 59%, nel Regno Unito il 47%, e in Francia e Usa il 43%. L’Italia è ben al di sotto della media Ocse (39%) e di quella dell’Ue a 21 (36%).

Eppure, anche se meno che all’estero, la laurea garantisce vantaggi nel trovare lavoro: perché tra i giovani laureati il tasso di disoccupazione cresce sì (dal 2007 è passato dal 10 al 16%), ma meno rispetto a diplomati (dal 13% al 28%) e a chi si ferma alla licenza media (dal 22% al 45%). 

E le cose, per i laureati, potrebbero migliorare, se crescerà la quota di manager con titolo di studio di terzo livello, ferma in Italia a meno della metà della media europea: il 24% contro il 53%. Un manager laureato, infatti, tende ad assumere più laureati e questo potrebbe innescare un circolo virtuoso. Intanto, però, i dati sono impietosi: il tasso di disoccupazione ad un anno dalla laurea è infatti cresciuto di dodici punti in quattro anni per le magistrali e di quindici punti per lauree di primo livello e magistrali a ciclo unico. I neo laureati disoccupati sono il 26,5% di chi ha terminato la triennale, il 22,9% di quelli con laurea specialistica e il 24,4% di chi ha una laurea magistrale a ciclo unico.

Nel 2007, primo dato disponibile, i livelli erano profondamente diversi con tassi di disoccupazione della metà e oltre. Ma anche nel 2008, primo anno di crescita costante di questo dato, i senza lavoro si fermavano al 15,1% per i laureati di primo livello e al 16,2% del secondo. Si lavora in meno e si guadagna anche meno: rispetto al 2008, le retribuzioni reali sono infatti calate del 20% circa, passando da oltre 1200 euro a circa 1000.

Le cose tendono a migliorare con il passare degli anni – segno di un mercato del lavoro con tempi lunghi di inserimento e valorizzazione del capitale umano. A cinque anni, il tasso di disoccupazione è infatti inferiore al 10% (8% per i laureati di primo livello, 8,5% per i magistrali e 5% per quelli a ciclo unico) nonostante un aumento di due punti per le triennali e di 3 per le magistrali. E anche sul fronte del guadagno mensile – nonostante una costante diminuzione – i livelli sono più alti, intorno ai 1300 euro.

Oggi Andrea Cammelli, direttore di Almalaurea, commenta, in una intervista ad Avvenire, l’unico dato positivo che emerge dai dati presentati, cioè che solo l’otto per cento dei laureati non lavora. Una cifra che può apparire positiva, spiega, ma che nasconde altre problematiche: “Dobbiamo tenere in conto  che la popolazione giovanile è calata del 37% negli ultimi trent’anni. Questo ha fatto sì che venisse molto poco considerata dalla politica e dalle istituzioni, perché numericamente modesta. È stato un errore molto grave. Noi dobbiamo puntare molto di più su queste persone, rafforzando i nostri investimenti su una popolazione che, con la scusa di venire considerata numericamente modesta, ha fatto la parte di Cenerentola“.

E sui tagli lineari nel settore dell’istruzione dice: “Solo 30 diciannovenni su 100 scelgono l’università. La gente abbandona molto presto gli studi. Questo vuol dire che molti non possono permettersi di iscriversi all’università. Se manca una politica di diritto allo studio che permetta anche ai meno abbienti di completare il percorso accademico, che permetta agli studenti di ricevere i soldi in anticipo e non in ritardo, il Paese rischia di perdere tutte le opportunità che potrebbero arrivare da 70 giovani su 100“.

E prosegue: “Abbiamo avuto conferma del fatto che avere un titolo universitario conti ancora molto così come il diploma di scuola superiore secondaria o quello dell’Its. Fondamentale anche fare almeno un’esperienza di studio all’estero come l’Erasmus o il progetto Leonardo. C’è un tasso di occupazione, a parità di condizioni, molto elevata quando si vanta un periodo più o meno lungo trascorso fuori dall’Italia. Ultimo ingrediente quello del rapporto con le aziende. Serve fare stage e tirocini nelle imprese migliori per aumentare la propria formazione e competitività. Un’esperienza lavorativa prima di conseguire il titolo di laurea serve a capire come funziona il mondo del lavoro e quindi a inserirsi nel mercato in tempi brevi“.

Forgot Password