Pensioni: schizofrenia della legge?

La pubblicazione della circolare sulle pensioni (n. 23 del 12 marzo) è già oggetto di interrogativi e di preoccupazioni soprattutto per le dipendenti che, grazie alla “quota” 96 raggiunta entro il 31 dicembre 2011, dovrebbero conservare il diritto di fruire delle vecchie regole pre-riforma.

La riforma delle pensioni, come si sa, ha elevato dal 2012 i limiti di età e di anzianità contributiva, obbligando i dipendenti a rimanere in servizio qualche anno di più.

Ha salvato da questo innalzamento generalizzato dell’età (66 anni) e dell’anzianità (41/42 anni) coloro che al 31 dicembre 2011 avevano già conseguito i requisiti per andarsene in pensione.

Ma quello che sembrava uno sconto, una concessione, una deroga al giro di vite generalizzato, rischia invece di diventare punitivo per le dipendenti che hanno raggiunto a dicembre quota 96 (60 anni di età e 36 di contribuzione oppure 61 anni e 35 di contribuzione). Poiché per loro i limiti di vecchiaia fissati dalle regole pre-riforma (61 anni di età per le donne e 65 anni per gli uomini) continueranno a valere anche dopo il 31 dicembre, diversi uffici scolastici territoriali stanno procedendo al collocamento coatto in pensione per chi quest’anno compirà 61 anni di età.

Se questa interpretazione “punitiva” dovesse prendere piede, tutte le donne a quota 96 se ne dovrebbero andare quest’anno obbligatoriamente in pensione, salvo richiesta, accolta, di proroga.

Ma sarebbe anche un’applicazione schizofrenica della legge che, mentre da una parte rinvia il momento della pensione, costringendo milioni di persone a rimanere più anni in servizio, dall’altra obbliga altri ad andarsene prima.

La circolare ministeriale sembra condividere questa tesi, ma nel chiudere la parte relativa alla situazione dei dipendenti pre-riforma afferma che “… nell’anno 2012 o negli anni successivi dovranno essere collocati a riposo al compimento dei 65 anni (salvo trattenimento in servizio) quei dipendenti che nell’anno 2011 erano già in possesso della massima anzianità contributiva o della quota o comunque dei requisiti previsti per la pensione”.    

I 96enni, insomma, se ne dovrebbero andare al compimento dei 65 anni, senza differenza tra uomini e donne. Se questa, come ci auguriamo, è l’interpretazione corretta, il Miur farà bene a darne informazione agli Uffici periferici prima che parta, ancora una volta, una raffica di ricorsi.