Tuttoscuola: Turismo scolastico

‘Normandia: noi c’eravamo’

Il liceo scientifico di Sulmona ha partecipato alle celebrazioni del Sessantesimo anniversario dello Sbarco in Normandia

Noi del liceo scientifico di Sulmona c’eravamo. Ci siamo ritrovati a Saint Lò al liceo francese Pierre e Marie Curie insieme alla tedesca Realschule di Flensburg. Un incontro di studenti e professori di tre paesi europei, una volta in guerra, alle celebrazioni del Sessantesimo anniversario dello Sbarco in Normandia. A ricordo. Se c’è, infatti, una data che tutti i giovani dovrebbero conoscere, questa è il D-Day, il 6 giugno 1944. Simboleggia la libertà riconquistata. Con la consapevolezza, mai del tutto rassicurante, che la libertà e la democrazia non sono date una volta per sempre, ma, come ha scritto Jacques Prévert: «le bourreau n’est pas mort; il sommeille».

Un centinaio di giovani italiani, francesi e tedeschi per rivivere insieme, sul terreno, la battaglia più terribile, più cruenta di tutta la storia dell’umanità. E per capire.

Oltre due milioni gli alleati sbarcati e paracadutati sulle coste normanne, ribattezzate in codice Utah, Omaha, Gold, Juno, Sword, nomi che sono entrati nella cultura locale e nell’uso quotidiano. I tedeschi, arroccati nei loro bunker di cemento e di ferro, ancora visibili lungo la linea verde del litorale, apparivano inespugnabili. La battaglia di Normandia durò un mese e mezzo e costò la totale distruzione di tutte le città lungo un’ampia fascia costiera. Ogni chilometro di avanzata si pagò con la morte di mille soldati alleati. A questo prezzo la Normandia fu la porta della nuova Europa. E’ difficile far veramente capire e “sentire” l’inferno della guerra ai giovani che hanno avuto la fortuna di non conoscerla. I nostri vecchi l’hanno vissuta. La fame, le razzie, i bombardamenti, gli eccidi. E’ stato terribile. Ma se è possibile e lecito fare una “graduatoria” degli orrori, le nostre popolazioni, che hanno visto la regione tagliata a metà dalla linea Gustav, sono state meno sventurate di quelle normanne. Per capire, bisogna andare, parlare, come a noi è stato possibile, con i sopravvissuti, visitare i musei del D-Day. Ce ne sono 28, fra i quali “Le Memorial, un museé pour la Paix” di Caen, enorme, documentatissimo, dove si è tenuto lo storico incontro fra Chirac e Schroder. Bisogna visitare i cimiteri. Sono belli, bellissimi i cimiteri di Normandia, sembrano parchi. Peccato che ci siano i morti, anche di sedici, diciassette anni. La regione è piena di cimiteri: una trentina, fra americani, inglesi, francesi, canadesi, polacchi e tedeschi. Tutti sono verdi, un infinito prato verde come solo le generose piogge atlantiche sanno donare. Quelli americani li conosciamo tutti, li abbiamo visti tante volte nei film: croci bianche perfettamente allineate. Quelli tedeschi non li avevamo mai visti. Anch’essi sono tanto curati che nemmeno una foglia sul mare di verde. Ma le croci sono di tozza pietra scura non levigata, accorpate a gruppi di tre o di cinque, quella al centro un po’più grande e po’più alta. Piccole lapidi, anch’esse di pietra scura, giacciono a livello del prato. I cimiteri tedeschi, se è consentito fare assurdi paragoni del genere, sanno più di morte di quelli americani, oltre per quell’abbraccio disperato di cupe croci, forse anche perchè a queste morti non si riesce a dare un significato. Erano tutti fanatici nazisti o forse molti erano solo dei coscritti? L’anziano reduce tedesco che abbiamo conosciuto ci ha confessato che, con la mitraglia in pugno, lui pregava. Certo è che tutti combatterono fino all’ultimo, senza una diserzione, di fronte ad un mare e sotto un cielo che scatenavano un inferno di ferro e di fuoco.

Camminano silenziosi e pensosi i giovani fra le tombe. Leggono le date di nascita e scoprono che prima di essere soldati erano giovani come loro. E’ duro pensarlo, ma non c’è niente di più educativo di un cimitero di guerra. Non le parole: il cimitero. Può salvarci dalla follia della riproposizione delle “radiose giornate di maggio” e dell’altrettanta radiosa giornata di piazza Venezia.

Una domanda torna insistente negli studenti e la rivolgono a più interlocutori: la popolazione sopravvissuta che ha subito la distruzione della propria città e la morte dei propri padri, madri, figli, non sente una qualche avversione verso gli alleati? Ci rispondono di no, che li aspettavano, che tardavano a venire, e sono ancora loro riconoscenti. I giovani capiscono che la libertà, che forse loro non apprezzano a pieno perché come dell’aria ci si accorge solo quando viene a mancare, è più cara della vita dei propri cari e della stessa propria vita.

 

Ezio Pelino

Preside Liceo scientifico Sulmona

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