Nasce l’Europa a 25. Un ruolo decisivo per la scuola

Dal 1° maggio di quest’anno l’Europa geografica e quella politica si assomigliano un po’ di più, anche se quest’ultima non è riuscita ancora a darsi una Costituzione, un sistema condiviso di regole, indispensabile per dare una soggettività comune ad un così vasto aggregato di Stati nazionali, tutti portatori di una propria identità storica e culturale, che si manifesta anche nella pluralità delle lingue, ben 20 su 25 Paesi aderenti, di cui 17 indoeuropee (neolatine, germaniche, slave) e 3 ugro-finniche (finlandese, ungherese ed estone).
Un ruolo decisivo, nella costruzione del senso di appartenenza alla nuova Europa allargata, sarà svolto dai sistemi scolastici dei 10 nuovi Paesi, quasi tutti appartenenti a quella che si è a lungo chiamata “Europa orientale”, egemonizzata dopo la seconda guerra mondiale dall’ex Unione Sovietica. Basti pensare ai programmi di storia ed educazione civica, ma anche a quelli di diritto, economia, persino di filosofia, che infatti sono stati profondamente rivisti negli ultimi 15 anni.
Nel complesso, comunque, questi Paesi possiedono sistemi educativi abbastanza sviluppati e competitivi con quelli degli altri 15 partner europei: l’istruzione, soprattutto quella di tipo matematico-tecnico-professionale, è uno dei pochi settori nei quali i vecchi regimi hanno operato con una logica di investimento. E le percentuali della spesa per l’istruzione sul PIL si sono mantenute abbastanza alte, mediamente attorno al 5%, con punte superiori nei Paesi baltici, e addirittura il 10.7% in Slovenia. Il risultato, come ha osservato Romano Prodi in un’intervista pubblicata dal “Wall Street Journal Europe” del 30 aprile 2004, è la relativa abbondanza di manodopera con un buon livello di formazione, che potrà indurre i Paesi europei economicamente più sviluppati ad esportarvi capitali e lavoro soprattutto nel settore manifatturiero.
E il presidente della Commissione europea lancia un monito rivolto in particolare al nostro paese: “se noi in Italia falliremo nel moltiplicare il numero di ingegneri qualificati, se continueremo a retribuire i nostri ricercatori meno di coloro che operano nel settore finanziario e in altri settori, questi paesi ci sopravanzeranno: il cervello della new economy è il sistema scolastico di questi paesi, che in molti casi è superiore a quelli degli attuali stati membri, e dell’Italia in particolare”.