La strategia per il futuro: investire in formazione nei Paesi poveri

Con 2,8 centesimi al giorno pro capite, a carico degli abitanti dei paesi ricchi (poco più di cinquanta delle nostre vecchie lire), si potrebbe dare un’istruzione di base a 100 milioni di bambini dei paesi poveri.
Gordon Brown, che da cancelliere dello scacchiere (ministro dell’economia) si prepara a succedere a Tony Blair alla guida del governo inglese, rivolge un appello alla parte più ricca e sviluppata del mondo affinché si impegni ad affrontare concretamente il problema del perdurante, elevato tasso di analfabetismo che si registra nelle aree in ritardo di sviluppo. E intanto annuncia che la Gran Bretagna intende impegnare a questo scopo 15 miliardi di dollari (12,4 miliardi di euro) nei prossimi dieci anni, da oggi al 2015, una cifra quattro volte superiore a quella erogata nello scorso decennio.
Sembra incredibile che nel ventunesimo secolo l’86% delle quattordicenni nigeriane e del Burkina Faso siano analfabete, eppure è così. Ma un tasso di analfabetismo superiore al 50% si riscontra anche tra i teenagers del Bangladesh, Benin, Ciad, Mali, Senegal e Sierra Leone.
L’iniziativa del governo britannico ci sembra importante e meritoria, anche perché rilancia in modo concreto quella battaglia per combattere l’analfabetismo che è stata oggetto di grandi conferenze mondiali, promosse dall’UNESCO, come quella che si tenne nel 1990 a Jomtien (Thailandia), intitolata “Education for all”, e quella successiva di Dakar (2000), risoltesi in buona sostanza in spettacolari (e costosi) esercizi di retorica.
In tempi di globalizzazione dei mercati e di grandi tensioni migratorie dai paesi più poveri verso quelli più ricchi, un progetto come quello lanciato da Gordon Brown (che ha coinvolto nell’iniziativa anche il premio Nobel Nelson Mandela, ex presidente del Sudafrica), appare particolarmente lungimirante, perché è dimostrato che un migliore livello di formazione di base è la principale condizione del decollo economico e della stabilizzazione demografica dei paesi poveri.