La montagna disincantata

A proposito della recente sentenza della Corte costituzionale sul "doppio punteggio"

Che l’attribuzione del “doppio punteggio” per l’insegnamento nelle Scuole di montagna introdotto con D.L. 97/2004 e seguenti non fosse supportato da valide motivazioni giuridiche oltre che contraddittorio per alcune parti, (il semplice criterio altimetrico privilegiava Potenza o Campobasso rispetto ai piccoli paesi di montagna a meno di 600 metri!) lo sapevano tutti, anche coloro che avevano considerato positivamente la norma, almeno per lo spirito che la animava, quello di incentivare i docenti precari a scegliere le sedi di montagna, normalmente prive di titolari e quindi o vacanti per lunghi periodi o soggette a continui ricambi di supplenti.

Ma la sentenza n. 11/2007 della Corte Costituzionale (che si è scomodata per una questione di “punteggi” nelle graduatorie dei docenti precari: quousque tandem!) arriva a “cancellare” la specificità e la diversità delle condizioni di vita che caratterizzano il vivere in montagna, il che è molto grave e dimostra ancora una volta che la “politica” ( e la Corte in questo caso ha dato una sua interpretazione “politica”, nel senso alto della parola, si intende, delle norme costituzionali) è davvero una faccenda dei “cittadini”, nel senso etimologico di “abitante della città”; e spero di dimostrarlo con queste mie considerazioni. .

Certo, occorreva, come dicevo all’inizio, inserire la norma all’interno di una revisione generale della L. 90/57 che prevedeva una serie di “vantaggi” a chi insegnava in montagna (carriera accorciata, punteggi aggiuntivi, alloggi, precedenze nelle nomine ai montanari ecc) nelle scuole elementari. A distanza di 50 anni per le Scuole di montagna ben poco è stato fatto (e quei vantaggi sono praticamente spariti), salvo la creazione degli istituti comprensivi, poi estesi all’intero territorio nazionale. Il DL 97 tentava attraverso una norma sulle graduatorie di dare una risposta all’esigenza di dare alle scuole di montagna una maggiore qualità del servizio.
Dopo l’esperienza del primo anno, non del tutto positiva, come si diceva, si trattava di porre rimedio alle incongruità del DL 97 attraverso, ad esempio, una revisione delle regole e dei parametri per definire veramente “montane” le sedi di cui trattasi, cosa che la legislazione nazionale sulle Comunità montane (la L. 1102 del 1973) non ha chiaramente risolto; e così per esempio abbiamo che Trieste, il maggior porto dell’Alto Adriatico, sia considerato “parzialmente montana”! Il solo riferimento altimetrico (600 metri, quando tutti a scuola abbiamo imparato a considerare montagna il territorio al di sopra dei 700 metri) non poteva essere sufficiente, come è noto a tutti.

Ma il problema in questo caso rimaneva: è giusto “incentivare” la scelta dei docenti precari (perché di questi si tratta) per le scuole di montagna o no? E perché occorrerebbe farlo? Si tratta evidentemente di una decisione politica, che il legislatore può adottare purché la motivi adeguatamente e non contrasti con i principi basilari della nostra Costituzione.

La motivazione non può essere di carattere didattico (“le condizioni dell’insegnamento” come avrebbero voluto i giudici costituzionali) ma sociale e di diversità di condizioni non solo per chi insegna in montagna, ma anche per chi riceve il servizio, cioè il cittadino di montagna. La stessa legge 90/57 non accennava in alcun modo alle “condizioni dell’insegnamento” eppure nessuno ha pensato alla sua incostituzionalità né allora né dopo.

Eppure introduceva “discrimanzioni” tra gli abitanti e i docenti della montagna ed altri. Si trattava, coem si usa dire oioggi, di “discriminazione positiva” utile e necessaria: non si possono fare le parti uguali fra disuguaalòi, per citare ancora una volta Don Milani.
La sentenza n. 11 della Corte costituzionale discende, a parere di chi scrive, da una lettura corretta ma parziale dell’art. 3 della Costituzione la quale prevedendo l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge sottolinea che essa sia esente da distinzioni “di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” Non si citano le condizioni geografiche o territoriali, ma esse sono implicite nelle “condizioni sociali” anche se non espressamente specificate. Il mancato richiamo alle condizioni “territoriali” risale a una visione della democrazia e dell’uguaglianza che ha voluto proprio prescindere dalle condizioni geografiche e territoriali (il discorso sarebbe troppo lungo e rimando a considerazioni già enunciate dal sottoscritto in altre circostanze) Tuttavia come faceva ben notare Don Milani 40 anni fa c’è il secondo comma dell’art. 3 della Costituzione che recita “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale…………”
Ecco: il vivere in montagna costituisce un “ostacolo” al pieno sviluppo della persona umana? A parere di chi scrive tutto ciò è indubbio e se non bastasse il richiamo all’art. 44 della Costituzione, laddove dispone che “La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane”, basta leggere le statistiche sulle condizioni reddituali, di occupazione e di titoli di studio per capire che vivere montagna comporta delle “limitazioni ” o degli svantaggi a cui la legge deve porre rimedio. E la L. 90 del 1957 che prevedeva particolari incentivi a chi insegna o risiede in montagna si muoveva proprio in questa logica.

E’ vero nella L. 90 si parla di scuole elementari e di pluriclassi, ma solo chi si ferma alla lettera della norma e non tiene conto dello spirito della stessa, non riesce a capire quel è il vero obiettivo che la legge si proponeva e che è ancora attuale. Intanto è normale che nel 1957 si parli di Scuole elementari e non di Scuola medie: non c’era ancora la Scuola media unica e l’obbligo fino a 14 anni non era stato applicato, per cui le Scuole Medie o l’avviamento professionale all’epoca erano situate nei centri di fondovalle. La legge ha voluto poi specificare che le agevolazioni andavano ai docenti che insegnavano nelle pluriclassi per restringere il campo alle vere località di montagna, perché altrimenti sarebbero state inserite le scuole elementari dei medi centri o addirittura delle città. Ma perché questa limitazione? Perché esistendo le scuole elementari anche nelle più sperdute borgate, senza incentivi di carriera ed economiche (l’assegnazione degli alloggi da parte dei Comuni, come recita l’art. della stessa legge) difficilmente si sarebbero trovati docenti disposti ad andare ad insegnare in quei posti.

Come possono pensare i nostri costituzionalisti che il meccanismo premiante fosse riferito alle difficoltà legate al particolare insegnamento nelle “pluriclassi”? Come poteva la legge addentrarsi in questioni di carattere didattico o sociale (insegnare ai montanari è più faticoso che insegnare ai cittadini? E chi l’ha detto?), che solo 40 anni dopo sono state introdotte nella legislazione, ad esempio con le “aree a rischio devianza” o nelle carceri.

Dire come fa il TAR di Catania che l’attività dei docenti di montagna rispetto a quelli di città sia “sostanzialmente identica” è un turismo: chi ha mai affermato il contrario? Anzi per certi aspetti insegnare in montagna è senz’altro meno impegnativo che insegnare nelle periferie urbane o in classi senz’altro più numerose rispetto a quelle che si ritrovano in città. Non è questo che conta e la legge non voleva assolutamente compensare un lavoro più faticoso. Si trattava invece di riconoscere da una parte il disagio per chi doveva recarsi a insegnare in montagna, (tanto è vero che accanto ai “premi” in termini di carriera si parlava di alloggi gratuiti) e dall’altro garantire che i posti fossero coperti, tanto è vero che si introducevano meccanismi preferenziali nell’assegnazione delle cattedre ai docenti residenti in montagna. Cari giudici, se non l’avete capito, la norma tendeva a non lasciare sguarnite di docenti le scuole dei piccoli centri montani, difficilmente raggiungibili all’epoca. So di molti maestri che negli anni 50 andavano a piedi in certe zone ed erano costretti a fermarsi durante la settimana perché era impossibile rientrare a casa giornalmente.
Le cose sono cambiate nel corso degli anni: la Scuola Media è stata portata anche nei piccoli paesi di montagna, i trasporti sono migliorati e le vie di comunicazione per fortuna non sono quelle degli anni 50.

Ma … tutto è relativo! Sostenere, come fa il TAR di Catania, che non esiste più alcun “disagio” ad andare a insegnare in montagna visto che esiste la motorizzazione di massa e “i locali scolastici sono risaldati” significa non conoscere la realtà vera della montagna e delle scuole di montagna. Intanto nonostante la maggiore diffusione dei trasporti pubblici, non è sempre agevole recarsi in alcune località di montagna specie d’inverno (avrei voluto vedere qualche giudice di Catania affrontare in una giornata invernale i rischi di una nevicata improvvisa nel tratto Paularo-Tolmezzo, che faccio giornalmente) e poi il problema è un altro, vale a dire la carenza di docenti di ruolo abitanti in montagna. Questo è un dato incontrovertibile, che certamente i giudici “cittadini” non conoscono. Grazie anche alla espansione della scolarizzazione, nelle scuole elementari di montagna non mancano maestri (l’80% dei docenti è residente nel Comune o nelle immediate vicinanze); dove si soffre ancora oggi della carenza di insegnanti del posto è nelle Scuole medie soprattutto, meno in quelle superiori, che trovandosi nei grossi centri dispongono di personale locale o comunque sono in località facilmente raggiungibili.

E allora il doppio punteggio avrebbe dovuto essere mirato alle Scuole secondarie, per tentare di superare la cronica carenza di insegnanti stabili. Basta guardare al fenomeno del turnover annuale dei supplenti. Chi ha proposto quella norma probabilmente pensava proprio a questo altrimenti non si capirebbe perché introdurre un meccanismo premiante. Tant’è vero che sempre nella legge 90 del 57 non ci limita a dare incentivi di carriera ed economici ma si andava oltre e ci si preoccupava di garantire una continuità dei docenti nelle scuola di montagna, privilegiando proprio i residenti “In mancanza di titolare e di insegnante soprannumerario nelle scuole elementari di cui all’art. 2, recita la legge 90, al maestro residente nel comune da almeno tre anni è data la precedenza assoluta nel conferimento dell’incarico annuale….Il maestro incaricato ha diritto al mantenimento del posto in base alla qualifica e alla permanenza nella sede medesima, qualora il posto occupato rimanga vacante.”

Ecco quindi l’obiettivo della norma cassata sul doppio punteggio: favorire la scelta delle sedi montane da parte dei docenti non di ruolo. Se non che, a mio parere, ha esagerato sia nel premio (raddoppiare il punteggio è eccessivo, specie se non è collegato almeno a una permanenza biennale) sia nella individuazione delle zone (il semplice criterio altimetrico è assurdo).
E allora? Allora, come dicevo all’inizio, bastava correggere la legge e non abrogarla o addirittura “abrogare” la montagna, come ha fatto la Corte Costituzionale.

Che senso ha affermare come fa il TAR Sicilia che la legge avrebbe dovuto “limitarlo al servizio prestato nelle scuole elementari di montagna di cui alla legge 90 del 1957” Il TAR ha forse potere legislativo? E se come giustamente fa notare la Corte il solo criterio altimetrico, definito come “casuale” (Anche il sesso è casuale, cari giudici, e allora abroghiamo le “pari opportunità”?) occorrerebbe tener conto di altri parametri: distanze dai centri, situazione demografica, reddituale ecc. e io direi soprattutto riferite alla situazione scolastica, perché di questo si tratta.

E infatti la ratio della norma sul doppio punteggio, a parere di chi scrive, è proprio la scarsa disponibilità a chiedere le sedi di montagna da parte dei docenti, perché, cari giudici, checché ne pensiate voi che abitate certamente in città, recarsi in montagna giornalmente non è agevole, specie d’inverno. E non ha alcun senso affermare che il criterio altimetrico avrebbe dovuto essere “ancorato alle condizioni dell’insegnamento”. Ma lo sanno i giudici costituzionali che da qualche anno esistono le “pluriclassi” anche nelle Scuole medie? E perché nelle piccole isole non si fa riferimento alle “condizioni dell’insegnamento”, bensì alla semplice insularità? Nonc’è contraddizione in questo?

Quello che resta al termine di questa triste vicenda è che i ragazzi di montagna devono rassegnarsi al turnover, visto che per i giudizi costituzionali studiare in montagna non differisce per niente dallo studiare in città! Provare per credere!

 

Prof. Pasquale D’Avolio
D.S. dell’Istituto comprensivo di Arta-Paularo