Tuttoscuola: Scuola digitale

La “conversione” (transitoria) della Cgil alla Ddi

Non si può fare della didattica in presenza un mero spot, non sostenuto da nessun intervento efficace come quello della fornitura di mascherine ffp2 per tutti i lavoratori che abbiamo ancora una volta sollecitato durante l’incontro”, si legge in una nota della Flc Cgil. Ma il segretario Sinopoli va oltre: “La scuola è stata anzi disarmata di fronte a questa nuova ondata che era ampiamente prevedibile. Si è finto per mesi che le misure di sicurezza non servissero più contro ogni evidenza logica e scientifica. Si è scelto di eliminare nei fatti il distanziamento e di tornare a classi in molti casi da 28 o 30 alunni. Si è scelto di risparmiare risorse sugli organici e destinarle ad altre misure diverse dalla scuola. Non si è neanche preso in considerazione un intervento sulla ventilazione. Se davvero la scuola in presenza fosse stata una priorità allora anche le indicazioni per la pausa natalizia avrebbero dovuto essere più prudenziali. Scegliere di mettere i consumi al primo posto è una scelta che ha un prezzo”.

Dopo due anni di pandemia si registrano “fughe in avanti di regioni ed Enti Locali che di fatto sconfessano le decisioni centrali” mentre sarebbe servito, al contrario, “un provvedimento nazionale chiaro, commisurato alla gravità della situazione, assunto in tempo utile e non al termine delle vacanze natalizie, che ripristinasse per una fase transitoria la Ddi” evitando “la frammentazione e l’anarchia delle decisioni locali”.

È la prima volta, ci sembra, che la Flc Cgil fa un’apertura così esplicita alla DaD, sia pure nella modalità Ddi (integrata). Se poi si cominciasse a ragionare sul carattere strutturale, e non transitorio, della Ddi, si farebbe, a nostro avviso, un bel passo avanti verso un modello di scuola più flessibile e personalizzata, insomma anche più democratica, posto che tutti a tendere vengano messi in grado di fruirne.

Da parte nostra riproponiamo integralmente un articolo del 7 dicembre 2020, intitolato “La DaD fa danni, ma solo se non funziona. La DDI però è un’altra cosa”:

“Continuano le polemiche tra fautori e detrattori della DaD, accolta all’inizio del lockdown come l’ancora di salvezza della scuola italiana, e poi progressivamente entrata nel mirino di noti intellettuali, dei sindacati e di movimenti come ‘Priorità alla scuola’ che considerano la didattica in presenza unica e insostituibile.

E chi lo mette in dubbio? Il problema è quale didattica si fa a scuola e quale si fa quando non ci si può andare, come è quasi sempre stato da marzo a oggi  (https://www.tuttoscuola.com/dallinsegnamento-trasmissivo-allapprendimento-coinvolgente-facciamo-il-salto-senza-paura/).

Dalle scuole giungono notizie contrastanti: dove la DaD ha funzionato bene i risultati vengono considerati ottimi, come risulta anche dalle testimonianze raccolte da Tuttoscuola e da Indire. Esempi concreti si ritrovano nell’ebook “Verso la Didattica Digitale Integrata: cosa abbiamo imparato, cosa dobbiamo imparare” di Tiziana Rossi e Luca Dordit.

In molti casi però non è stato materialmente possibile attivare la DaD, come è stato rilevato dallo stesso Ministero dell’istruzione. Secondo uno studio realizzato dalla Fondazione Di Vittorio e dalla Flc Cgil con la collaborazione delle Università di Roma La Sapienza e di Teramo, solo meno di un terzo degli insegnanti del primo ciclo ha potuto raggiungere l’intera classe con le lezioni da casa. Un po’ meglio è andata nelle scuole secondarie superiori, in particolare nei licei, ma non in tutto il Paese, perché in molti casi la rete internet non ha funzionato. Dati che fotografano un gravissimo fattore di disuguaglianza, che sta lasciando indietro milioni di studenti allargando lo spettro della povertà educativa. E peraltro non ci si è soffermati sulla inadeguatezza in molti casi delle lezioni, anche dove è stato possibile collegarsi con gli studenti a casa, nelle quali i docenti si sono limitati a ripetere la lezione trasmissiva che si fa in classe (con risultati ancora peggiori) o a inviare istruzioni e compiti via whatsapp. Oltre al danno la beffa, si potrebbe dire.

Ma il problema è la didattica a distanza?

Il problema non è nella DaD in sé (unica leva di fronte alle chiusure obbligate per non perdere milioni di ore di lezione), ma nei limiti infrastrutturali (connessione internet, devices) e di competenze (una lezione innovativa, in classe o online, che si avvalga anche delle grandi potenzialità che le tecnologie offrono per un apprendimento coinvolgente non si improvvisa: ci vuole tanta formazione).

In primo luogo dunque vanno superati quei limiti, perché finché ci sarà questo virus (ed è ben lontano dall’essere sconfitto, purtroppo) o un altro (non lo si può certo escludere) i danni su una risorsa primaria quale è l’istruzione possono essere devastanti e il rischio va mitigato: non si può continuare ad essere impreparati. In secondo luogo bisogna distinguere la didattica a distanza (cioè “remotizzata”) dalla didattica digitale integrata (DDI), intesa come metodologia innovativa di insegnamento-apprendimento, indipendentemente dalla modalità di erogazione-fruizione.

Il nostro paese sconta in questi campi ritardi di anni, e la crisi pandemica – lo abbiamo detto dal primo giorno – poteva rappresentare una grande opportunità di imprimere un’accelerazione per colmare questi gap. Non lo si è fatto in questi lunghi nove mesi, se non con timidi tentativi o iniziative estemporanee, e forse proprio la demagogica demonizzazione della Dad che è stata fatta (che ha trovato terreno fertile proprio a causa di quei limiti strutturali), facendo un gran “mischione” tra Dad e DDI, ha sconsigliato i decisori politici.

Mancanza di visione? Confusione tra causa ed effetto? Timori di favorire le multinazionali del digitale (che poi lo spazio se lo prendono lo stesso, ma non più all’interno di un quadro di interesse pubblico)? Non è da escludere che qualcuno abbia compreso benissimo, ma si opponga perché sa che una fetta importante dei docenti in servizio non è pronta e non ha intenzione di cambiare l’approccio con il quale si è formata (tanto tempo fa) e che ha sempre praticato. Eppure l’interesse delle nuove generazioni (ossia la ragione sociale dell’istituzione Scuola) è un altro. L’insegnamento trova il suo senso se genera apprendimento, e allora bisogna concentrarsi sulle modalità che favoriscono l’apprendimento dei bambini e dei ragazzi di oggi, a mo’ di esempio dalle tradizionali tabelline e calligrafia all’avveniristico utilizzo dei droni e della realtà aumentata. In passato non era neanche immaginabile, ma ora che sono tecnologie disponibili perché non avvalersene. Non è un problema di presenza o distanza (ovvio che la presenza è insostituibile nella relazione educativa, ma perché lo studente non può, sotto la guida dell’insegnante, visionare materiali didattici multimediali a casa e poi discuterne in classe con compagni e docente?).

Il segretario della Flc Cgil Francesco Sinopoli facendo riferimento all’esito della citata indagine con la Fondazione Di Vittorio ha bocciato le ipotesi di tornare alla didattica a distanza, circolate in questi giorni: “La scuola per noi si fa in presenza – ha ribadito il sindacalista – e abbiamo lavorato perché si riprendesse in presenza. La scuola si fa a scuola anche se sappiamo che la didattica digitale integrata, come viene chiamata adesso, è già una realtà in questi primi giorni di scuola”.

Per la verità, andrebbe fatto osservare a Sinopoli e ai non pochi che la pensano come lui, la DaD e la didattica digitale integrata (DDI) non sono la stessa cosa. L’esigenza di ripensare l’insegnamento avvalendosi anche del valore aggiunto offerto dalle tecnologie digitali, nasce prima del Covid e resterà quando il Covid sarà solo un ricordo. Non è un caso se la DDI (hybrid learning) con il suo mix di presenza e distanza, ma soprattutto del meglio della didattica tradizionale e di quella innovativa, è a giudizio di moltissimi esperti a livello internazionale la didattica del futuro. Sarebbe bene che il nostro Paese non arrivasse ancora una volta tra gli ultimi a comprenderlo”.

 

Non cambiamo idea.

 

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