Insegno da precaria a 1400 km da casa (e potrei lavorare nell’azienda di famiglia)

La soddisfazione più grande? Vedere gli alunni seguire con interesse le mie lezioni”. Parla con convinzione, Giuseppina Puglisi. Trentatré anni, originaria di Rosolini (Siracusa), una laurea in Filologia moderna conseguita all’Università di Catania e un sogno nel cassetto: quello di riuscire a firmare un contratto a tempo indeterminato come docente. Un sogno irrealizzato, fino ad oggi. La stabilizzazione tanto agognata non è ancora arrivata eppure ciò non ha impedito alla giovane docente di continuare a inseguire il sogno di insegnare tra i banchi di scuola. Attualmente Puglisi si trova a Desenzano sul Garda, dove insegna da precaria letteratura italiana e storia all’istituto alberghiero “Caterina De Medici” con un incarico fino ad avente diritto. Tradotto: è un contratto di sostituzione di un insegnante che c’è, ma che non si sa quando potrà prendere servizio e se lo prenderà, per cui il docente che accetta di lavorare su quel posto deve essere consapevole che potrebbe dover lasciare la supplenza in qualsiasi momento. 

Non una grande prospettiva, insomma. Puglisi, però non si è scoraggiata, nonostante sia un’istruttrice di fitness e un’ottima bartender, e non ha esitato un attimo a rifare la valigia e a mettersi in viaggio. Non è facile mollare tutto e accettare di lavorare da precaria in una sede che dista 1.398 chilometri da casa propria: “Ma questo è l’unico mestiere che faccio con passione e, dunque, non mi spaventa il fatto di dovere vivere molto lontano dalla mia famiglia”. Lei, come tanti altri suoi colleghi, fa parte di quella schiera di docenti che non ha potuto prendere parte al concorsone della “Buona scuola”. Il motivo? La mancata abilitazione all’insegnamento. Un paradosso se si considera che al concorso potevano candidarsi i diplomati magistrali ante 2002, che magari per 15 anni non sono mai entrati in una scuola, ma non docenti come Puglisi. Nel frattempo, però, è successo che il Consiglio di Stato abbia emanato diverse ordinanze con cui dispone che anche i prof non abilitati possano partecipare al concorso della scuola. Per ora “ai soli fini dell’espletamento delle prove”, dicono i giudici, “restando esclusa nell’eventuale prosieguo anche l’immissione con riserva nella relativa graduatoria”.

Tutto risolto? Non proprio: malgrado le ripetute sollecitazioni, a tutt’oggi il ministero dell’Istruzione non ha comunicato se e quando intende calendarizzare le prove suppletive, così come invece ordinato dal Consiglio di Stato. Così, in tanti stanno valutando assieme ai loro legali se avanzare un ricorso per l’esecuzione dell’ordinanza cautelare, al fine di obbligare, anche attraverso l’eventuale nomina del commissario ad acta, il Miur a fissare, con un congruo preavviso, le date per lo svolgimento delle prove suppletive. 

A essere penalizzati, dunque, sono docenti che vorrebbero fare tale lavoro per passione. Questa professione, infatti, dovrebbe essere resa più attraente agli occhi degli studenti universitari per diventare una “prima scelta”, e non la seconda o la terza (e i tantissimi bocciati al concorsone confermano che in molti casi scelgono l’insegnamento persone che hanno fallito da altre parti o che comunque vedono la scuola come un “paracadute”, oppure perché ambiscono a una professione conciliabile con altre attività), mediante un processo di selezione più rapido, condizioni di lavoro più favorevoli, una maggiore retribuzione e una carriera basata sul merito e recante posizioni intermedie stabili, non solo legate agli incarichi dati dal dirigente scolastico. Si potrebbe poi pensare a un sistema di incentivi per particolari profili, sul modello anglosassone delle allowances. In buona sostanza non dovrebbe apparire uno scandalo prevedere retribuzioni differenziate per far sì, ad esempio, che ad un laureato a pieni voti in matematica non appaia “tafazziano” scegliere di insegnare a scuola invece che entrare in una multinazionale

E pensare – conclude Giuseppina Puglisi – che a me le alternative lavorative non mancano. Già, perché oltre a preparare mojito e dare lezioni di zumba, potrei lavorare come contabile nell’azienda di famiglia che opera nel campo dell’elettrotecnica. Ma non è quello che voglio. Perché sa cosa penso? Che non c’è mestiere più bello al mondo di quello di insegnare ai ragazzi”.