Tuttoscuola: Non solo statale

Indagine della Rete della Conoscenza, 3 studenti su 4 temono la precarietà

La Rete della Conoscenza ha presentato i risultati del referendum studentesco nazionale che si è svolto dal 15 al 25 aprile in centinaia di scuole e università. “Ancor di più in questo periodo, abbiamo ritenuto fondamentale organizzare questa grande iniziativa democratica e di partecipazione – ha detto Federico Del Giudice, portavoce della Rete – per ridare parola a migliaia di studenti a cui è stata tolta, attraverso tagli, disinvestimenti e riforme di scuola e università sbagliate in questi anni“.Sono stati – secondo quanto riferiscono gli organizzatori – centomila gli studenti che hanno partecipato alla consultazione.

Hanno partecipato al dibattito i parlamentari della VII commissione Nicola Fratoianni (Sel) e Giuseppe Vacca (M5s). Sono poi intervenuti il segretario della Flc-Cgil Domenico Pantaleo, il presidente nazionale del CIDI Giuseppe Bagni, oltre a Stefano Vitale per il Forum Nazionale dei Giovani.

Dall’iniziativa è emerso – ha detto Del Giudice – sul fronte sociale la necessità di rilanciare un percorso collettivo tra le organizzazioni per re-immaginare la complessità del sistema di istruzione alla luce delle istanze provenienti dalle scuole e dalla università. Crediamo importante che anche la politica faccia la sua parte e risponda alle questioni emerse“.

Roberto Campanelli, coordinatore nazionale dell’Unione degli studenti, ha spiegato nello specifico il senso della consultazione: “Volevamo rovesciare il rapporto tra chi scrive le riforme e gli studenti, alle leggi calate dall’alto contrapponiamo un forma di democrazia partecipata, un modello che però in questi anni non è mai stato preso in considerazione”.

Il principale problema evidenziato dagli studenti con il 73.4% delle indicazioni è la paura della precarietà e l’incertezza nel futuro lavorativo. Tutte le altre “paure” (come la qualità dello studio o la sicurezza degli edifici scolastici) scompaiono davanti alla precarietà senza superare il 9%. E’ anche una generazione che ha chiari limiti e pregi dell’autonomia scolastica ma che decisamente non vuole l’ingresso dei privati negli istituti (il 62 per cento). Il 26 per cento comprende che c’è bisogno dei fondi dei privati per le economie delle università ormai disastrate ma chiede che la didattica e la ricerca rimangano pubbliche.

Più del 52 per cento chiede il “reddito di formazione” sulla base del modello scandinavo. Il 77 per cento vorrebbe stage legati agli studi realizzati mentre sul numero chiuso il 30% pensa che debba rimanere in facoltà come Medicina, Architettura, Odontoiatria, il 12 lo estenderebbe ovunque mentre la maggioranza, il 57% immagina università aperte. Domanda anche sulle valutazioni, Invalsi e Ava: per il 48 per cento dovrebbero essere più democratiche, il 27% le trova “da contrastare”. Riguardo al diritto allo studio, settore particolarmente ridimensionato negli anni a causa degli tagli, più del 45 per cento degli intervistati risponde che con le borse di studio debbano essere sostenuti gli studenti privi di mezzi.

Che debbano essere attribuite su scala nazionale (e non regionale, come è adesso) mentre il 25% ritiene che vada anche dimostrato il merito. Il prestito d’onore (cavallo di battaglia degli ex ministri Gelmini e Profumo) è apprezzato solo dal 3,65 per cento. A tal proposito ieri la Rete della Conoscenza ha anche presentato le sue 10 proposte per il diritto allo studio, dalla gestione di alloggi e mense ai criteri di assegnazione delle borse.

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