I primi maestri laureati

Erano circa 7 mila quattro anni fa, escono quest’anno dalle Facoltà di scienze della formazione primaria con una laurea in mano; grazie a loro l’Italia, dopo un’attesa durata oltre un quarto di secolo, è finalmente arrivata al livello degli altri Paesi europei in fatto di formazione universitaria di tutti i suoi insegnanti. Un traguardo tuttavia che, se non verranno previste tutele e riconoscimenti particolari, avrà per questa avanguardia di professionisti della docenza il sapore di una beffa.
Un’esagerazione? I fatti sono questi: la loro non è una laurea abilitante, non dà diritto ad alcuna iscrizione in graduatoria permanente come previsto per i colleghi delle Ssis (scuola biennale di specializzazione per insegnanti della secondaria), non è spendibile sul mercato (serve solo per insegnare nella scuola materna o elementare), e sarà utile tra un anno solo per essere inseriti in graduatoria per supplenze in coda agli altri, sperando di avere un lavoro precario che sarà certamente retribuito meno di quello dei colleghi laureati della secondaria.
Tra due anni, inoltre, sempre con inclusione in graduatoria nell’ultima fascia dei supplenti, i maestri laureati potranno far valere il punteggio aggiuntivo di 30 punti, unico segno di riconoscimento del loro livello formativo.
Questi primi maestri obbligatoriamente laureati, dovranno attendere il prossimo concorso come tutti gli altri, senza sconti o corsie preferenziali. Se vinceranno un posto, con le regole e i contratti attuali avranno più ore di lavoro e meno stipendio degli attuali colleghi laureati della secondaria. Dulcis in fundo, dietro di loro stanno arrivando altre migliaia di futuri insegnanti di materna e di elementare a laurea obbligatoria, iscritti in numero contingentato (circa 7 mila posti all’anno mai interamente coperti).