Si accende il dibattito sulle gite scolastiche. Da abolire o da ripensare? Dopo l’ultimo incidente mortale nel quale è stato coinvolto uno studente in gita a Milano, da più parti si sono levate voci che chiedono di rinunciare a quella che è una delle più antiche e consolidate consuetudini della scuola italiana.
Tra queste, ha colpito – in primo luogo per l’autorevolezza della fonte, cioè il “capo” dei capi d’istituto, in quanto presidente storico della più rappresentativa associazione di dirigenti scolastici, l’ANP (Associazione Nazionale Presidi) – la netta condanna pronunciata nei giorni scorsi da Giorgio Rembado: “I viaggi d’istruzione, a mio avviso, andrebbero aboliti e se i professori non vogliono più accompagnare gli studenti hanno ragione”.
Di tenore un po’ diverso era stata l’opinione del vice presidente dell’ANP Mario Rusconi: “ci sarebbero dei metodi per evitare che le gite nelle scuole secondarie diventino una kermesse liberatoria degli spiriti nascosti degli studenti”, tra i quali “comminare sanzioni adeguate, dall’abbassamento del voto in condotta fino all’espulsione”.
In una lettera inviata oggi a Tuttoscuola, firmata congiuntamente da Giorgio Rembado e Mario Rusconi, i vertici della principale associazione di dirigenti scolastici chiariscono che, prima di pensare all’abolizione, “è necessario che si avvii un serio dibattito nei collegi dei docenti e nei consigli di istituto, che tenda a riportare nell’alveo formativo queste iniziative, coinvolgendo studenti e genitori”.
Per Rembado e Rusconi, “si assiste spesso – specie per i viaggi organizzati dalle scuole superiori – ad una sequela di episodi poco edificanti dal punto di vista civile ed educativo, quando poi non sfociano in tragedia, episodi che depistano i partecipanti dagli obiettivi culturali e li spostano su forme di trasgressione tendenzialmente fuori da ogni limite e da ogni possibile azione di vigilanza da parte dei docenti accompagnatori”.
Da qui la necessità – concludono la missiva indirizzata a Tuttoscuola – di ripensare queste iniziative “che, lasciate a se stesse, potranno solo costituire materia di morbosa attenzione mediatica o, peggio, di artata denigrazione dell’opera educativa della scuola e di chi vi opera con impegno e professionalità”.
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