Come difendersi dall’overdose elettronica

Ho vissuto recentemente un’esperienza che mi ha fatto riflettere sul carattere della nostra epoca. Tre visite, nell’arco dello stesso giorno. Di primo mattino, proprio mentre uscivo, si è presentato un tecnico ad installarmi la parabola satellitare sul balcone. Circa novecento canali e un sentimento di panico. Come chi si trova, all’improvviso, di fronte a mille strade di cui un centinaio, almeno, attraenti.
Ho superato lo choc grazie ad una considerazione. Adesso, finalmente, sarò io a scegliere. Potrò vendicarmi della mediocrità televisiva. Fra tanti programmi, ci sarà forse qualcosa che vale la pena di guardare.

Poi, all’ora di pranzo, è venuto il rappresentante dei telefoni a consegnare il nuovo modello di apparecchio con funzione video. Un oggetto sofisticato e la solita guida con le istruzioni di funzionamento. Come se non bastasse, più tardi ha suonato alla porta il commesso con un pacco: una macchina fotografica digitale, ottenuta con i punti. Così ricca di funzioni che ho rimandato a tempi indefiniti il proposito di apprenderne l’uso.
E non è tutto. E’ un po’ di tempo che, all’ora di pranzo, puntualmente, irrompe nell’intimità familiare una qualche telefonata commerciale. Spesso compagnie telefoniche, moltiplicatesi a scacchiera, che ti presentano offerte. Ascolto, rifiuto, mi difendo, ci casco… Talvolta, in un liberatorio soprassalto d’identità civile, chiedo spiegazione per queste audaci violazioni degli spazi di riposo. “Sto lavorando”, mi viene risposto dall’altro capo. E con sottinteso: “Per lei”.

Del resto, a ben riflettere, come possiamo considerare “di riposo” tempi nei quali una parte di gente lavora? Non succede anche di domenica, il giorno libero per eccellenza, nei centri commerciali e negli stadi e, se vogliamo, anche nelle chiese. Qualcuno lavora proprio in quel giorno, se per lavoro intendiamo l’esplicazione di un’energia mentale e fisica. Ho concluso che probabilmente non mi è lecito rispondere irritato. Per il fatto che la domenica vado in chiesa, al supermarket o allo stadio.

Ma soprattutto, ho realizzato che lo strumento è sempre “innocente”, neutro, ambivalente. A seconda di come lo usi, ti apre possibilità nuove o ti schiavizza. Il problema è un altro e sta dentro di noi. Come impedire che l’oggetto scelto, allo scopo di realizzare bisogni “dello stomaco o della fantasia” – per dirla con Marx – non trasformi noi, a nostra volta, in strumento? Saremo capaci di rimanere liberi, cioè padroni di programmarne e limitarne l’uso? Questo è il problema. E come la mettiamo con gl’immaturi, i fragili? I figli.

Il progresso. Limite o risorsa? Dipende da noi e solo da noi. Si tratta di una gara con noi stessi. Di una sfida alla nostra soggettività. Riusciremo a restare liberi? Non lo so. Probabilmente no. Forse avremo sempre più ragazzi disintegrati, svuotati, con poco senso della realtà. Ma non si risolve un problema senza attraversarlo. E nessuno può conoscersi se non viene provato. E’ vero, la società tecnologica determina un’esplosione libertaria mai conosciuta nella storia umana.
Pone di fronte uno spettro possibilità infinite, talvolta fino alla nausea ed all’insignificanza delle stesse. Una “iperstimolazione decisionale” che può generare ansia compulsiva, malessere, e quel muoversi continuo e nevrotico che osserviamo nei nostri ragazzi… Ma, se affrontiamo la sfida con consapevolezza, maturità morale, umanità, passione educativa, tutto ciò può risolversi in potenziamento delle possibilità, destandardizzazione e pluralità. Allora, lo strumento potrebbe produrre, non l’annullamento, ma l’esplosione della libertà.

Ma possediamo tale maturità?

Luciano Verdone
Docente di Filosofia – Liceo classico “Delfico” – Teramo