Non chiamiamoli più ‘150.000 precari’

Il riepilogo delle posizioni presenti in Forza Italia sviluppate nell’articolo FI preoccupata per le coperture o per l’assunzione di 150mila docenti? ci offre l’occasione per essere critici circa la permanenza, nel lessico politico diffuso, sia da parte di Forza Italia che degli altri schieramenti, e della maggior parte dei media, anche specializzati, della dizione, piuttosto sbrigativa e approssimativa, di “150.000 precari”, per connotare le 148.100 assunzioni prospettate nel documento La buona scuola, presentato dall’esecutivo lo scorso 3 settembre.

Queste 148.100 persone in realtà sono il cumulo degli iscritti alle due graduatorie cui si attinge per l’attuale reclutamento ai sensi del Testo Unico in materia di Istruzione.

Le due graduatorie sono formate per il 90% dalle graduatorie a esaurimento (costituite perlopiù da precari, ma anche da insegnanti delle paritarie e da persone che svolgono altri lavori, ed equivocamente note come “precariato storico”) e per il 10% dalla graduatoria dei vincitori e degli idonei dell’ultimo concorso docenti 2012, le cui graduatorie di merito sono tuttora in vigore.

Benché nella comunicazione anche da parte dell’esecutivo queste assunzioni vengano veicolate sotto il vessillo della lotta al precariato (e in buona parte lo sono), viene da dire che è poco rilevante che queste categorie siano composte da effettivi lavoratori precari o meno, e in quale percentuale. Tanto è vero che nel documento governativo, a pag. 27, si legge: “Dovremo fare un lavoro molto puntuale e dettagliato, che non ragioni in termini di aggregati ma col quale verificare il profilo di ognuno di questi 148 mila aspiranti docenti di ruolo”, e “La prima e più urgente operazione da fare sarà un censimento volto a capire il numero esatto e la distribuzione di coloro che saranno assunti”, entro il 31 dicembre 2014.

L’elemento che rileva invece è che le due categorie menzionate (iscritti in Gae e vincitori/idonei di concorso) sono quelle che, ai sensi della normativa vigente, “lo Stato si è negli anni impegnato ad assumere nella scuola italiana” (La buona scuola, pag. 21).

L’uso ambiguo della parola “precari” nell’attuale polemica politica sulla scuola, a nostro avviso, ha anche responsabilità nell’alimentare la protesta di altre categorie (per esempio quelle degli abilitati mediante Tfa e Pas), che probabilmente sono costituite in percentuale da un numero non inferiore di precari rispetto alle categorie degli iscritti in Gae e di chi ha superato l’ultimo concorso docenti, ma per le quali la norma non prevede attualmente un impegno dello Stato all’assunzione.