Scuola&Politica/2. Autonomia, mobilità, concorso: crash test per la Buona Scuola
Non c’è dubbio che Matteo Renzi abbia fatto della Buona Scuola (una denominazione presa in prestito da un convegno della Cisl del 2006, e rilanciata alla grande) la bandiera del suo ingresso nella politica nazionale. La scuola era stata al centro della sua campagna elettorale per le elezioni primarie del Pd (dicembre 2013), ed è rimasta in cima alle priorità anche del governo da lui costituito subito dopo (febbraio 2014).
In effetti l’impegno politico e parlamentare di Renzi per arrivare a una rapida approvazione della legge è stato massiccio, e non si è fermato (come tante volte accaduto in passato) di fronte ad ostacoli di vario genere: politici (compresa la fronda interna al suo stesso partito), parlamentari (l’approvazione parlamentare della legge 107, rinunciando al decreto legge, è stata una prova di forza), e sindacali, malgrado la forte ostilità di praticamente tutte le organizzazioni dei lavoratori della scuola (con l’eccezione dell’ANP) alle principali novità contenute nella legge: il nuovo Piano triennale dell’offerta scolastica (PTOF), l’organico dell’autonomia, gli ‘ambiti’ dai quali i dirigenti scolastici effettuano la chiamata dei docenti ritenuti idonei per la realizzazione del PTOF, la mobilità sul territorio, l’autoformazione dei docenti tramite il bonus di 500 euro, la premialità per i docenti affidata ai presidi, il concorso come via maestra per le nuove assunzioni.
Tutti nodi che stanno venendo al pettine in questi mesi iniziali del 2016, e che costituiscono nel loro insieme una prova di resistenza, un crash test, per la Buona Scuola di Renzi.
I sindacati, pagando qualche prezzo, sono tornati la scorsa settimana al tavolo della trattativa con il governo, e cercheranno una soluzione di compromesso in materia di mobilità. Se il Miur di Stefania Giannini, meno pressata dal collega titolare dell’economia rispetto ad altri precedenti ministri, riuscirà a mantenere aperto il tavolo; se i tempi del concorso non slitteranno in modo insostenibile per l’Amministrazione; se – soprattutto – il clima interno alle scuole sarà costruttivo e propositivo, e le forze endogene sosterranno il cambiamento (animatori digitali, presidi leader e non pseudomanager, associazionismo professionale), la Buona Scuola potrebbe superare la prova e Renzi potrà mettere la politica scolastica sul piatto delle partite attive della sua azione di governo.
In caso contrario un fallimento proprio sulla scuola, il dichiarato fiore all’occhiello del renzismo, potrebbe trasformarsi in un boomerang per un premier che, come ha scritto Sabino Cassese sul Corriere della Sera del 16 febbraio 2016, ha finora dimostrato di “essere bravo nello scatto”, come “uomo di governo”, ma deve ancora “dimostrare di essere un long distance runner”, un “uomo di Stato”. La politica scolastica sarà la sua cartina al tornasole.
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