Tuttoscuola: Non solo statale

IMU e Attività didattiche. Uno studio di A.M. Alfieri

Sulla questione della assoggettabilità all’IMU degli immobili destinati ad attività educative di proprietà di enti non commerciali pubblichiamo uno studio di Anna Mania Alfieri, docente presso l’Alta Scuola Impresa e Società (ALTIS) dell’Università Cattolica di Milano.

Indice

  1. Un Regolamento per adeguarsi ai parametri di conformità Europei
  2. Regolamento redatto ai sensi del DM. 200/2012
  3. Il settore Attività didattiche
  4. Il requisito rette di importo simbolico in Italia e in Europa
  5. Concetto di attività economica
  6. Il Decreto Imu del 26.06.2014 per gli enti non commerciali schiera un parametro inedito, quello del costo medio per studente
  7. Dichiarazione IMU

1.      Un Regolamento per adeguarsi ai parametri di conformità Europei

Il regolamento n. 200 del 19 novembre 2012 mira a disciplinare l’esenzione dall’IMU per gli enti non commerciali e applica, in buona sostanza, il concetto di attività economica inteso in senso comunitario, anche con riferimento alle realtà didattiche ed educative.
Infatti, ai sensi del diritto dell’Unione Europea, gli enti che, pur non essendo commerciali, svolgono comunque attività commerciali, sono considerati necessariamente di natura economica. In questi casi, gli immobili destinati a tali attività sono soggetti al pagamento dell’IMU, e non possono beneficare dell’esenzione.

Il Ministero, col Regolamento in questione ha tentato di “ricondurre a coerenza con i principi comunitari” in questa ottica, anche le realtà scolastiche private, con la ratio di voler applicare le esenzioni ad alcuni Enti “non commerciali”.  Ammessa la necessità (citata in premessa al decreto) di adeguarsi ai “parametri di conformità a quelli previsti dal diritto dell’Unione Europea”, occorre considerare che in quasi tutti i Paesi europei le scuole non statali godono a diverso titolo di finanziamenti pubblici e possono dunque permettersi di praticare una retta semplicemente simbolica ad integrazione del contributo statale. Sarebbe dunque necessario, proprio per adeguarsi all’Europa, procedere nella direzione esattamente opposta a quanto previsto dal Regolamento.  Una costante che sembra attraversare la storia Italiana: l’incompiutezza.

2.      Regolamento redatto ai sensi del decreto 200/2012

Tre i requisiti per l’esenzione IMU: Requisiti Soggettivi (relativi all’ente coinvolto), Oggettivi (relativi all’attività), Generali. Il Regolamento n. 200 del 2012, in attuazione del comma 3 dell’art. 91-bis del D.L. n. 1 del 2012, individua agli artt. 3 e 4, i requisiti, generali e di settore, per qualificare le attività di cui alla lett. i) del comma 1 dell’art. 7 del D. Lgs. n. 504 del 1992, come svolte con modalità non commerciali.

Premesso che la disciplina comunitaria ha imposto al legislatore un diverso approccio, limitando di fatto la possibilità di esenzione alle attività svolte con modalità non commerciali (di modo che l’aiuto che l’agevolazione fiscale realizza non potesse essere ritenuto pregiudizievole alle ragioni della concorrenza), l’esenzione IMU riguarda solo gli enti non commerciali, il cui ambito è più ristretto rispetto al novero degli enti No Profit; in particolare si segnala che associazioni e fondazioni, (sicuramente enti No Profit) non possono essere qualificate enti non commerciali quando svolgono – ad esempio – attività didattiche e assistenziali, che pure rientrano tra quelle ricomprese nella norma di esenzione.

Si precisa pertanto che l’esclusione non è attribuita esclusivamente nè essenzialmente in base al profilo soggettivo dell’ente (tale profilo non sarebbe infatti idoneo ad escludere una violazione delle norme sulla concorrenza), bensì in relazione alle attività da esso svolte e alle modalità con le quali le stesse sono svolte (che devono essere tali da porre la fattispecie al di fuori delle regole della concorrenza).

Avendo già trattato in altre occasioni dei requisiti di carattere soggettivo ed oggettivo, con la presente Nota si avverte l’opportunità di soffermarsi sui requisiti “generali e di settore” che hanno richiesto una serie di chiarimenti.

Requisiti generali. L’art. 3 del regolamento 200/2012 stabilisce che tali attività sono svolte con modalità non commerciali quando l’atto costitutivo o lo statuto dell’ente non commerciale prevedono:

a) il divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili e avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell’ente, in favore di amministratori, soci, partecipanti, lavoratori o collaboratori, a meno che la destinazione o la distribuzione non siano imposte per legge, ovvero siano effettuate a favore di enti che per legge, statuto o regolamento, fanno parte della medesima e unitaria struttura e svolgono la stessa attività ovvero altre attività istituzionali direttamente e specificamente previste dalla normativa vigente;

b) l’obbligo di reinvestire gli eventuali utili e avanzi di gestione esclusivamente per lo sviluppo delle attività funzionali al perseguimento dello scopo istituzionale di solidarietà sociale;

c) l’obbligo di devolvere il patrimonio dell’ente non commerciale in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altro ente non commerciale che svolga un’analoga attività istituzionale, salvo diversa destinazione imposta dalla legge.

Nella risoluzione n. 3/DF del 4 marzo 2013 è stato, innanzitutto, precisato che detti requisiti generali integrano quelli di carattere soggettivo già previsti dalla lett. i), comma 1, dell’art. 7 del D. Lgs. n. 504 del 1992, la cui mancanza determina, quindi, la perdita del requisito di carattere soggettivo e di conseguenza quella del beneficio fiscale. Nello stesso documento di prassi amministrativa è stata chiarita l’esatta portata delle disposizioni recate dalle lett. a) e c) del comma 1, dell’art. 3 del Regolamento. In merito alla lett. a), è stato precisato che la disposizione in essa contenuta, nell’ambito del divieto di distribuire utili e avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitali durante la vita dell’ente, ammette solo alcune eccezioni, individuate nel caso in cui la distribuzione sia prevista dalla legge e nell’ipotesi in cui tale distribuzione avviene a favore di un ente appartenente alla medesima e unitaria struttura ovvero che svolge o la stessa attività meritevole oppure altre attività istituzionali direttamente e specificamente previste dalla normativa vigente. A quest’ultimo proposito, la risoluzione chiarisce che per “altre attività istituzionali direttamente e specificamente previste dalla normativa vigente” devono intendersi quelle espressamente previste dalla lett. i), comma 1, dell’art. 7 del D. Lgs. n. 504 del 1992. Per quanto concerne, invece, la lett. c) dell’art. 3 del Regolamento che prevede la devoluzione del patrimonio dell’ente non commerciale in caso di scioglimento dello stesso ad un altro ente non commerciale che “svolga un’analoga attività istituzionale”, è stato evidenziato che – attesa la diversa terminologia utilizzata dalla precedente lett. a) – detta locuzione non può che riferirsi a un’attività affine o omogenea o di sostegno all’attività istituzionale svolta dall’ente in scioglimento, come, ad esempio, l’attività di promozione della cultura che è inquadrabile per le sue caratteristiche nello stesso ambito dell’attività didattica, espressamente prevista dall’art. 7, comma 1, lett. i), del D. Lgs. n. 504 del 1992. (cfr. Modello Dich. IMU pag. 8/9).

(Approfondimento)

Il vincolo previsto dal Regolamento alla lettera c) può gravare in modo assai significativo in ordine alla libera disponibilità dei beni ecclesiastici?

Si solleva il dubbio che questo vincolo gravi in modo assai significativo in ordine alla libera disponibilità dei beni ecclesiastici in quanto non vi è la necessaria sicurezza giuridica che l’obbligo di devoluzione non sia applicato anche in casi diversi dall’estinzione dell’ente (interpretazione letterale), per esempio quando:

–         L’ente non si estingue ma cessa definitivamente l’attività ivi svolta e meritevole di esenzione IMU;

–         L’ente non si estingue ma trasferisce temporaneamente l’attività ivi svolta e meritevole di esenzione IMU (per esempio in forza di affitto di azienda oppure di comodato ad un ente commerciale oppure ad un ente non commerciale privo delle clausole di cui all’art. 3 del DM 200/202);

–         L’ente trasferisce definitivamente l’attività ivi svolta e meritevole di esenzione IMU (per esempio in forza di cessione oppure di donazione di ramo di azienda ad un ente commerciale oppure ad un ente  non commerciale privo delle clausole di cui all’art. 3 del DM 200/202);

–         L’ente continua l’attività ma non più con modalità non commerciali come definite dal DM 200/2012.

Potrebbe essere limitata la libera disponibilità del bene quando, nell’ipotesi simile alla precedente, si comincia un’attività di religione o di culto (per es., si termina l’attività di cineteatro e la sala viene destinata per le attività ordinarie della parrocchia, oppure si termina un RSA e si destina l’immobile a casa di formazione per i religiosi o seminario). In questo caso, infatti, si passerebbe da un utilizzo dell’immobile che lo rende esente a condizione che sia stato adottato il Regolamento (assistenziali, previdenziali, sanitarie, di natura scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive) ad un utilizzo che lo rende esente a motivo del fatto che l’attività è quella dell’art. 16, lett. a), che, come detto sopra, non richiede il Regolamento in quanto non può mai assumere la natura di attività commerciale. Il problema è di sistema in quanto facendo transitare l’immobile da un utilizzo per attività di religione  o di culto si potrebbe rendere inefficace l’obbligo di devoluzione in caso di estinzione (e in altri casi assimilabili).

Questo “pericolo” non è meramente teorico, in quanto la norma analoga prevista per le Onlus (art. 10, co. 1, D.lgs. 460/1997) è stata interpretata estensivamente, includendo non solo il caso estremo di “scioglimento-estinzione” dell’ente, ma anche di cessazione dell’attività (cfr. circolare 26 giugno 1998, n. 168/E per il caso di perdita di qualifica Onlus: “Si precisa che la perdita di qualifica equivale, ai fini della destinazione del patrimonio, allo scioglimento dell’ente. A tale conclusione si perviene in considerazione della ratio della disposizione in argomento intesa ad impedire all’ente, che cessa per qualsiasi ragione di esistere come Onlus, la distribuzione del patrimonio, costituito anche in forza di un regime fiscale privilegiato, o la sua destinazione a finalità estranee a quelle di utilità sociale tutelate dal decreto legislativo in esame. Non si ritiene, infatti, di poter consentire all’ente vincolato quale Onlus nella distribuzione e nella destinazione degli utili o avanzi di gestione di vanificare tali vincoli attraverso il libero utilizzo del patrimonio a seguito della perdita della qualifica di Onlus”).

La preoccupazione espressa non è priva di fondamento, ma potrebbe risultare eccessiva, in particolare nel caso di specie.

È infatti possibile che l’espressione “scioglimento” venga interpretata estensivamente, ricomprendendo in essa il caso di enti che non si estinguono. Tuttavia, proprio alla luce di quanto affermato nella Circolare del 26 giugno 1998, n. 168/E, è possibile e forse necessario domandarsi se tali preoccupazioni non siano, soprattutto nel caso prospettato, eccessive. Ratio della disposizione in tema di devoluzione è “impedire all’ente, che cessa per qualsiasi ragione di esistere come Onlus, la distribuzione del patrimonio, costituito anche in forza di un regime fiscale privilegiato, o la sua destinazione a finalità estranee a quelle di utilità sociale tutelate dal decreto legislativo in esame. Non si ritiene, infatti, di poter consentire all’ente vincolato quale Onlus nella distribuzione e nella destinazione degli utili o avanzi di gestione di vanificare tali vincoli attraverso il libero utilizzo del patrimonio a seguito della perdita della qualifica di Onlus” (Circolare n. 168/E 1998 cit.).

Obiettivo che tuttavia non sembra possa dirsi frustrato consentendo all’ente ecclesiastico che cessi di svolgere una delle attività di cui all’art. 7, lett. 1), D.lgs. 504/92 e svolga solo attività di religione e di culto (di per sé esenti dall’imposta), di mantenere il proprio patrimonio. Finalità  della disposizione  sembra infatti essere quella di impedire che le risorse del settore non profit vadano a finanziare il settore profit dell’economia, vale a dire quello delle imprese a scopo di lucro. Tale finalità non pare tuttavia frustrata se l’ente continua a svolgere la sua attività istituzionale, istituzionalmente non lucrativa.

Si potrebbe poi osservare (eventualmente anche in sede di contenzioso) che l’uso del termine “devoluzione” richiama l’idea di trasferimento da un soggetto ad un altro e questo potrebbe portare ad escludere che riguardi anche fenomeni di “auto-devoluzione”.

Inoltre, la circolare 59 E 2007 afferma: “Nell’ipotesi in cui un ente, pur perdendo la qualifica di ONLUS, non intenda sciogliersi, ma voglia continuare ad operare come ente privo della medesima qualifica, si ritiene che lo stesso sia tenuto a devolvere il patrimonio, secondo i criteri indicati all’art. 10, comma 1, lettera f) del decreto legislativo n. 460 del 1997, limitatamente all’incremento patrimoniale realizzato nei periodi d’imposta in cui l’ente aveva fruito della qualifica di ONLUS. Viene fatto salvo, quindi, il patrimonio precedentemente acquisito prima dell’iscrizione nell’anagrafe delle ONLUS”. La devoluzione sarebbe pertanto limitata all’incremento patrimoniale.

Ora, se é vero che la circolare in esame si riferisce espressamente alle sole Onlus, è pur vero che anche la circolare del 26 giugno 1998, n. 168/E si riferisce alle sole Onlus. D’altro canto, è possibile chiedersi se non sia possibile ritenere la disciplina dettata in materia di ONLUS (e la relativa interpretazione ministeriale) comunque esportabile  agli enti non commerciali ai fini della esenzione IMU. La Risoluzione 1/DF/2012 afferma  infatti “Tali enti [gli enti ecclesiastici] devono, tuttavia, comunque predisporre  un regolamento, nella forma della scrittura privata registrata, che recepisca le clausole art. 10, comma 1, del decreto legislativo 460 del 1997”, richiamandosi così espressamente al decreto ONLUS.

3.      Il settore Attività didattiche

Requisiti di settore. Il regolamento 200/2012 stabilisce che le scuole pubbliche statali non sono tenute al pagamento dell’IMU; le scuole pubbliche paritarie se non erogate a titolo gratuito o con un prezzo simbolico devono versare l’IMU. Il Consiglio di Stato fa riferimento ai principi europei senza riuscire ad esplicitarli sino in fondo. All’art. 4 comma 3, a,b,c, si individuano le caratteristiche (conditio sine qua non) affinché le scuole paritarie non paghino l’IMU. Devono essere: scuole paritarie; non devono essere discriminatorie nell’accettazione degli alunni; hanno l’obbligo di accogliere gli alunni portatori di handicap; devono applicare la contrattazione collettiva al personale docente e non docente; devono garantire l’adeguatezza delle strutture agli standard previsti; devono dare pubblicità del loro bilancio. Da notare che sono i requisiti della legge 62/00 sulla parità. E’ chiaro il paradosso che allontana il Consiglio di Stato dai principi europei accennando l’ultimo requisito senza contestualizzarlo: “le attività didattiche devono essere svolte a titolo gratuito ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto conto dell’assenza di relazione con lo stesso”. Il richiamo – in premessa di questo Decreto a titolo giustificativo – alla necessità di adeguarsi ai “parametri di conformità a quelli previsti dal diritto dell’Unione Europea” non prende in considerazione un particolare molto importante: le scuole pubbliche paritarie, nei diversi Paesi europei godono, anche se in maniera diversificata da un Paese all’altro, di un finanziamento pubblico e, quindi, si trovano nella oggettiva fortunata situazione di non praticare alcuna retta, oppure di applicare una retta puramente simbolica ad integrazione del contributo statale. Difatti nonostante una struttura giuridica perfetta che anticipa l’Europa, ad oggi l’Italia risulta – nella garanzia dell’esercizio del diritto – una grave eccezione in Europa.

4. Il requisito rette di importo simbolico in Italia e in Europa

Ai fini dell’esenzione IMU, il Consiglio di Stato, dopo svariate bocciature, approva il Regolamento quando con l’art. 4, comma 3, lett. c) sembra riallineare l’Italia ai principi europei, prevedendo che “l’attività è svolta a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di rette di importo simbolico e tali da non coprire integralmente il costo effettivo del servizio”. Difatti lo stesso Consiglio di Stato rammenta che “secondo la giurisprudenza comunitaria, il carattere non economico dell’istruzione pubblica non è pregiudicato dal fatto che talora gli alunni o i genitori sono tenuti a pagare tasse di iscrizione o scolastiche per contribuire ai costi di gestione del sistema, mentre va distinta l’ipotesi in cui i servizi di istruzione sono finanziati prevalentemente da alunni e genitori o da introiti commerciali (Corte Giust. UE, 11.09.2007)”. Il Regolamento applica in modo erroneo i principi europei e la parità scolastica, non tenendo conto del fatto che in Italia non esiste forma di aiuto statale per le scuole pubbliche paritarie, come avviene in Europa. E’ chiaro: la presenza della categoria “Scuole Paritarie” è del tutto ignorata dal Regolamento; trattasi in realtà di scuole che, seppure a gestione privata, si caratterizzano per la natura totalmente “paritaria” rispetto alle scuole pubbliche, e dunque di natura “non commerciale”, anche nel senso voluto dall’Unione Europea, nella quale le scuole pubbliche, statali e paritarie, essendo entrambe le tipologie realtà didattiche finalizzate alla istruzione e diffusione del sapere a beneficio pubblico, trovano tutte come fonte unica di guadagno il finanziamento pubblico.

Chiaramente inutile e tendenzioso l’art. 4 comma 3 c) poiché la scuola paritaria è già una scuola paritaria non commerciale.

5.      Concetto di attività economica.

L’art. 4 comma 3 c) non riesce a superare il vincolo economico della L. 62/00 anzi mentre con questa lo si ignora. A 12 anni da quest’ultima si fa un passo indietro e lo si cela. Infatti simile comma non è attuabile in Italia, che si trova in situazione molto differente dall’Europa, dove le scuole hanno il carattere di non commerciali in quanto paga lo Stato. Un decreto che cela un’ingiustizia sociale. Con la decisione del 19 dicembre 2012 relativa all’aiuto di Stato SA 20829 (C26/210) la Commissione Europea, con riferimento, in particolare, all’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. i), del D. Lgs,. n. 504 del 1992, si è pronunciata in materia sia di ICI che di IMU.
La Commissione ha riconosciuto che “l’esenzione dall’IMU, concessa ad enti non commerciali che svolgono negli immobili esclusivamente le attività elencate all’articolo 7, primo comma, lettera i), del decreto legislativo n. 504/92, non costituisce un aiuto di Stato ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, del trattato”. Secondo la Commissione le disposizioni concernenti l’applicazione all’IMU dell’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. h), del D. Lgs. n. 504 del 1992 esprimono in modo chiaro che detta esenzione può essere garantita solo se negli immobili considerati non vengono svolte attività commerciali. Non sono, quindi, più possibili per la Commissione “le situazioni ibride create dalla normativa ICI, in base alla quale, in alcuni immobili che beneficiavano di esenzioni fiscali, si svolgevano attività di natura commerciale”.

Al riguardo, la Commissione ha ricordato che, conformemente alla giurisprudenza, “non costituiscono attività economica i corsi offerti da determinati stabilimenti che formano parte del sistema dell’istruzione pubblica e sono finanziati, del tutto o prevalentemente, con fondi pubblici”.

La natura non economica dell’istruzione pubblica non viene in linea di principio contraddetta dal fatto che talvolta gli alunni o i loro genitori debbano versare tasse scolastiche o di iscrizione, che contribuiscono ai costi di esercizio del sistema scolastico, purché tali contributi finanziari coprano solo una frazione del costo effettivo del servizio e non possano, pertanto, considerarsi una retribuzione del servizio prestato.

Infatti la lett. c), comma 3, dell’art. 4 del Regolamento stabilisce che lo svolgimento dell’attività deve essere effettuato “a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con lo stesso”.

A questo proposito, si ricorda che, nella “Comunicazione della Commissione sull’applicazione delle norme dell’Unione europea in materia di aiuti di Stato alla compensazione concessa per la prestazione di servizi di interesse economico generale. Testo rilevante ai fini del SEE” – pubblicata nella Gazzetta ufficiale n.C 008 dell’11 gennaio 2012 pag. 0004 – 0014 (2012/C 8/02)la Commissione europea ha già avuto modo di verificare che “la giurisprudenza dell’Unione ha stabilito che l’istruzione pubblica organizzata nell’ambito del sistema scolastico nazionale finanziato e controllato dallo Stato può essere considerata un’attività non economica”. 

Nella stessa Comunicazione, al punto 27, la Commissione europea, richiamando la giurisprudenza dell’Unione, ha, altresì, affermato che “il carattere non economico dell’istruzione pubblica, in linea di massima, non è pregiudicato dal fatto che talora gli alunni o i genitori siano tenuti a pagare tasse d’iscrizione o scolastiche per contribuire ai costi di gestione del sistema. Tali contributi finanziari spesso coprono soltanto una frazione del costo effettivo del servizio e non possono quindi essere considerati una retribuzione del servizio prestato.

Alla luce di quanto appena illustrato, la Commissione ha ritenuto che “le rette di importo simbolico” cui si riferisce il Regolamento n. 200 del 2012 non possano essere considerate una remunerazione del servizio fornito.

Pertanto, nella fattispecie in esame, considerati i requisiti generali e soggettivi di cui agli artt. 1 e 3 del Regolamento e i requisiti oggettivi specifici di cui al successivo art. 4, la Commissione ha deciso che il servizio didattico fornito dagli enti in questione non possa essere considerato un’attività economica.

6.      Il Decreto Imu del 26.06.2014 per gli enti non commerciali schiera un parametro inedito, quello del costo medio per studente.

Restava però da “contestualizzare” al Sistema Scolastico Italiano il parametro europeo, il “requisito” alla lett. c), comma 3, dell’art. 4 del Regolamento che stabilisce che lo svolgimento dell’attività deve essere effettuato “a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con lo stesso”. E’ fondamentale domandarsi, simbolico rispetto a cosa? In tal senso a norma dell’art. 1, comma 1, della legge 10 marzo 2000, n. 62, il sistema nazionale di istruzione è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali.  Quanto effettivamente costa il servizio alle scuole pubbliche – statali e paritarie – è una bella domanda. Di conseguenza il Decreto IMU per gli enti non commerciali schiera un parametro inedito, quello del costo medio per studente. Si legge sul sito del Ministero “Se  il corrispettivo medio (CM) è inferiore o uguale al costo medio per studente (CMS) la scuola paritaria è esente dall’IMU.

Tabella. Spesa Annuale per studente distinta per livello di istruzione

(CMS – Costo Medio per Studente)

 

Scuola dell’infanzia

Scuola Primaria

Istruzione secondaria
di primo grado

Istruzione secondaria 
di secondo grado

Tutti i livelli

Spesa annua nelle istituzioni educative per studente

€ 5.739,17

€ 6.634,15

€ 6.835,85

€ 6.914,31

€ 6.882,78

Fonte Education at glance OECD

Per corrispettivo medio (CM) si intende la media degli importi annui che vengono corrisposti alla scuola dalle famiglie.
Ad esempio, se in una scuola dell’infanzia sono presenti 10 bambini per i quali viene corrisposto un importo annuo pari a € 1.000 e 5 bambini per i quali viene corrisposto un importo annuo agevolato di € 500, il corrispettivo medio sarà pari a: [(1.000 x 10) + (500 x 5)] / 15 = € 833. 
Per costo medio per studente (CMS) si intende, invece, l’importo indicato nella Tabella sopra riportata, distinto per settore scolastico. 
Se il corrispettivo medio (CM) è inferiore o uguale al costo medio per studente (CMS) , ciò significa che l’attività didattica è svolta con modalità non commerciali e, quindi, non è assoggettabile a imposizione.” http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/web/istruzione/dg-ordinamenti/scuola-non-statale/imu_tasi 


E’ un passaggio fondamentale perché sia riconosciuto anche in Italia – casualmente all’inizio del nostro semestre di presidenza europea – il diritto più bello del mondo: educare il proprio bambino nella massima libertà, in una scuola pubblica (cioè controllata, garantita dallo Stato, utile a tutti) statale o paritaria non importa, potendo scegliere in una pluralità di offerta formativa. Chi paga le tasse deve poter scegliere. Lo Stato garantisca, non gestisca: non gli conviene.

7.      Dichiarazione IMU

Da presentarsi entro il 30 Settembre 2014.

 Anna Monia Alfieri

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