Tuttoscuola: Non solo statale

Standard formativi minimi/2: un freno alle tendenze centrifughe delle Regioni

Occorre anche considerare che gli standard minimi anticipano, in via sperimentale, l’impianto organico che dovrà essere approntato per la messa a riforma dell’area dell’istruzione e formazione professionale. Comprensibile quindi la cautela e la non forzatura, in questa fase, nella definizione, quasi transitoria, degli standard varati dalla Conferenza, e che peraltro riguardano le sole competenze di base, suddivise in 4 aree: dei linguaggi, scientifica, tecnologica e storico-socio-economica.
Ma solo per l’area tecnologica, e in parte per quella scientifica, si può parlare di standard veri e propri, anche perché compaiono riferimenti europei consolidati, come l’ECDL (European Computer Driving License). Per il resto, i riferimenti sono talmente generali da adattarsi ad una gamma amplissima di possibili interpretazioni. E poi mancano gli standard relativi alle competenze tecnico-professionali, che per percorsi che si concludono con l’attribuzione di una qualifica professionale sono evidentemente della massima importanza.
Il rischio della (dis)articolazione regionale dei percorsi è stato peraltro avvertito dagli stessi estensori dell’accordo sugli standard, che si sono preoccupati di evidenziare il loro carattere sperimentale e provvisorio, “nelle more dell’emanazione dei decreti legislativi di cui alla legge 28 marzo 2003 n. 53”. Decreti che istituiranno il “sistema di istruzione e formazione professionale” nel quale anche i percorsi triennali dovranno rientrare, e che dovranno risolvere, ma su scala infinitamente più grande, gli stessi problemi di rapporto tra dimensione nazionale degli standard e tendenze centrifughe delle Regioni.

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