L’accenno del ministro Carrozza all’importanza della valutazione delle competenze, al di là dei diplomi e delle lauree, si colloca nel quadro del dibattito (storico) e delle riflessioni (legate all’attualità) sul valore legale dei titoli e sulla qualità dell’insegnamento.
Le recenti polemiche sui diplomifici per quanto riguarda la scuola secondaria e quelle sui concorsi universitari – spesso caratterizzati da clientelismo, localismo, scambio di favori se non peggio (parentopoli) – rendono più forte la voce di chi ritiene non solo obsoleto ma anche dannoso il mantenimento da una parte del valore legale dei titoli e dall’altra di meccanismi concorsuali macchinosi come quelli scolastici o pseudomeritocratici come (spesso) quelli universitari.
L’ANDU (Associazione Nazionale Docenti Universitari) a proposito di questi ultimi scrive sul suo sito che se proprio, in alternativa ai concorsi nazionali, “si vuole ad ogni costo salvaguardare la scelta responsabile locale, è più serio, più rapido, più chiaro e meno costoso assegnare al maestro un ‘buono posto’ che gli consenta di scegliere, direttamente e senza infingimenti, chi vuole”.
A conclusioni simili perviene sull’Espresso anche Michele Ainis, ordinario di diritto pubblico a Roma 3, che dopo aver premesso che “la cooptazione non è un peccato né un reato, è la legge non scritta dell’università”, scrive che “Ogni giovane studioso s’avvia alla ricerca sotto la guida di un docente, che poi lo aiuta a fare carriera. E quindi via i concorsi, che ogni professore si scelga il suo assistente, che ogni ateneo si scelga i propri professori”. E di conseguenza “via il valore legale della laurea”. E magari anche del diploma.
Si può essere ragionevolmente sicuri che in tale prospettiva le Università scadenti e i diplomifici sarebbero spazzati via.
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