
Il 27 e 28 Maggio a Crema, presso l’Istituto Tecnico “Luca Pacioli” diretto dal Prof. Giuseppe Strada, si è svolto un interessante seminario dal titolo “Quando lo spazio insegna. Aula 3.0, una possibile risposta alla scuola del futuro”, in collaborazione con INDIRE RICERCA, Massachussets Institute of Technology (MIT) ed European Schoolnet.
L’evento ha fatto il punto della situazione su quanto attualmente la ricerca in campo educativo sta proponendo per supportare il processo di insegnamento apprendimento sulla base della teoria del costruttivismo sociale, con interventi non soltanto sulle tecnologie didattiche, ma anche sugli spazi, da ripensare in funzione di modi nuovi di promuovere la conoscenza. Sono stati presentati non solo modelli di aule adatti a forme di apprendimento attivo, ma grazie al contributo del Prof. Peter Dormashkin, senior lecturer del MIT di Boston, è stato possibile vedere in atto in che modi e con quali strategie può svolgersi l’azione didattica nelle cosiddette “aule del futuro”.
Il modello di questi ambienti è noto con l’acronimo TEAL (Technology Enabled Active Learning). Si tratta di spazi profondamente diversi da quelli che popolano la nostra scuola, basati su una filosofia dell’apprendimento non più di tipo trasmissivo. Spazi ampi, compositi, in cui si integrano molteplici funzionalità, ricchi di risorse tecnologiche e non solo, colorati, ricomponibili in molte configurazioni in base ai bisogni del momento e dunque modulari. Spazi policentrici, privi di cattedra, nei quali la lezione frontale è solo una piccola parte dell’azione didattica, mentre largo spazio è lasciato ai processi collaborativi, di brain storming, ricerca, peer teaching, rielaborazione, presentazione. Insomma aule laboratorio, aule di proprietà del gruppo, a responsabilità di gruppo, in cui davvero il ruolo del docente assume il carattere di regista e facilitatore dell’apprendimento.
Le strategie didattiche per questi nuovi ambienti richiedono notevoli competenze, profondi ripensamenti della professionalità docente, tempo per la preparazione di nuove risorse, ma godono anche del vantaggio dato dalla collaborazione attiva offerta dai discenti come creatori essi stessi di materiali di apprendimento aperti e riutilizzabili. Largo spazio alle simulazioni, agli esperimenti hands-on, al gioco didattico, perché nell’apprendimento attivo è importante imparare dall’errore, essere liberi di sbagliare senza sentirsi giudicati, aver modo di argomentare il proprio ragionamento, di correggerlo strada facendo, di presentarlo agli altri.
L’effetto è straniante rispetto al nostro consueto orizzonte: aule piene di movimento, dove ognuno lavora, parla e riflette con i membri del gruppo, costruisce, si confronta, in un caos che è solo apparente, poiché sottostà in realtà a complesse operazioni di regia didattica in grado di trasformare il discente da soggetto semplicemente in ascolto, a soggetto in azione, dedito a costruire la propria conoscenza.
Tutto ciò sembra molto lontano dal nostro sistema scolastico, ma il seminario di Crema ha dimostrato che non solo è possibile, ma per alcune scuole di Italia è già realtà. Tre scuole hanno già realizzato e presentato le loro aule del futuro: l’ITC Pacioli di Crema, il Fermi di Mantova, il Majorana di Brindisi e a settembre anche il Savoia Benincasa di Ancona si aggiungerà alla lista inaugurando un’aula 3.0 di 100 mq con l’intervento di INDIRE Ricerca.
La medaglia, pur splendida, ha naturalmente il suo rovescio. Attrezzare un’aula 3.0, sul modello TEAL (Technology Enabled Active Learning), dichiara a Tuttoscuola la dirigente scolastica Alessandra Rucci, “ha un costo che si aggira fra i 15 e i 25 mila euro, ma potrebbero essere anche molti di più in base alla tipologia, tra tecnologie e arredi. Oggi in pochissimi possono disporre di cifre di tale entità e quasi tutti hanno usufruito dei finanziamenti dedicati al Progetto Scuola 2.0. Inoltre non basta un’aula 3.0 per Istituto, ma occorrerebbe moltiplicare ambienti simili in ogni scuola per ottenere effetti significativi sull’organizzazione, sullo sviluppo della professionalità docente e di conseguenza sul processo di apprendimento”.
C’è la necessità impellente, aggiunge la professoressa Rucci, “di riqualificare la professionalità docente, di rendere istituzionale la formazione in servizio, insomma esiste una condizione di contesto sulla quale è necessario riflettere e che i decisori politici devono assumere in carico. Dalle loro scelte dipenderà la possibilità per quanti più giovani possibile in Italia di formarsi in aule di questo tipo, secondo i modelli didattici di riconosciuta eccellenza nel mondo”.
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