Negli anni ’70, quando la lezione di don Milani non era ancora diffusa e conosciuta, il libro, simbolo di cultura ed emancipazione, era considerato l’elemento di divisione classista: non la causa, ma lo specchio di una differente condizione sociale ed economica.
Oggi lo specchio della condizione sociale sono le nuove tecnologie, oggetti destinati a cambiare la formazione.
Paolo Ferri, docente all’università la Bicocca di Milano ha analizzato il disastroso piazzamento degli studenti italiani nella recente indagine Ocse-Pisa sulle competenze dei quindicenni di 57 Paesi, dove l’Italia, come ormai sanno tutti, si è piazzata al 36° posto, ben lontana dalla media europea e preceduta da Croazia, Macao e Taipei.
Ferri ha messo in rilievo il rapporto tra punteggio conseguito e familiarità con il mondo digitale, scoprendo che l’85% degli studenti che hanno accesso a computer e internet da casa hanno totalizzato un punteggio (514) superiore alla media ritenuta di sufficienza (500), mentre il restante 15% che non usa il computer a casa ha totalizzato punteggi (435) al di sotto della media.
“Ecco perché la scuola – dice Ferri – deve fare tesoro delle risorse del mondo digitale“.
Come? Non secondo quanto prevedevano le Indicazioni nazionali dell’ex-ministro Moratti dove si prescrivevano come contenuti la tecnologia anziché il suo uso.
I risultati Ocse sembrano dimostrare che i nostri studenti sono spiazzati dai test PISA non tanto perché ignoranti, quanto perché sfavoriti da una scuola che antepone la teoria all’esperienza.
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