Già oggi negli USA 2 milioni di studenti non studiano più a scuola, ma a casa loro. Sono gli “homeschoolers“, il cui numero è cresciuto rapidamente (erano solo 20.000 negli anni settanta) soprattutto da quando le nuove tecnologie hanno consentito di disporre on line di quantità imponenti di informazioni, materiali didattici, sussidi vari, accompagnati da programmi di assistenza individualizzata, forniti da varie imprese e organizzazioni.
Si prevede che nel 2040, in mancanza di riforme radicali che rilancino il sistema scolastico, il numero degli homeschoolers supererà negli USA quello degli studenti che frequentano scuole di tipo tradizionale. La previsione si fonda, oltre che sulle crescenti opportunità offerte dallo sviluppo tecnologico, sul fatto che già ora i risultati conseguiti dagli homeschoolers nei test standardizzati sono mediamente migliori di quelli ottenuti dagli studenti delle scuole pubbliche, in una misura variante dal 30 al 37%.
In Italia il fenomeno è per ora irrilevante, ma lo spostamento dell’accento dai curricoli agli esami e alle certificazioni, e l’eventuale assegnazione di buoni studio alle famiglie che volessero intraprendere questa strada potrebbero creare anche da noi condizioni più favorevoli allo sviluppo del fenomeno, che in pochi anni – lo spazio di 1-2 generazioni – ridurrebbe buona parte dei luoghi fisici nei quali oggi si fa scuola in qualcosa di simile alle fabbriche dismesse per manifesta obsolescenza: luoghi dell’archeologia formativa.
Anche di questo si parlerà il 26 novembre alle 14.30 a Genova, in occasione del convegno promosso da Tuttoscuola nell’ambito della fiera ABCD – Scuola, Formazione, Ricerca, Impresa -, che si svolgerà dal 25 al 27.
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