
Fino a qualche anno fa capitava spesso, nelle indagini internazionali che riportavano confronti tra sistemi educativi, di trovare la sigla “n.a.” (not available, non disponibile) in corrispondenza della voce Italia. Oppure di trovare, per l’Italia, un dato riferito a uno o due anni prima rispetto alla maggioranza dei Paesi considerati.
La situazione poi è un po’ migliorata, e con il governo Prodi (ministro della PI Fioroni, ma soprattutto ministro dell’economia Tommaso Padoa-Schioppa) la raccolta dei dati ha avuto un’impennata, culminata nella realizzazione del Quaderno bianco sulla scuola (settembre 2007), opportunamente pubblicato nel sito del Miur.
Negli anni successivi, quelli del ticket Gelmini-Tremonti, i dati sono stati raccolti, ma non sempre sono stati resi noti, e anzi in qualche caso è prevalsa una politica della comunicazione che ha in certa misura forzato l’interpretazione dei dati subordinando i criteri della loro selezione all’obiettivo di dimostrare l’efficacia delle politiche governative (come accadde, per esempio, per le percentuali relative alle bocciature, quando si doveva dimostrare il successo della linea ‘rigorosa’ voluta dalla Gelmini).
Con il ministro Profumo la musica sembra essere cambiata in modo strutturale perché, come dice la filosofia del programma informatico La Scuola in chiaro, i cui dati sono liberamente scaricabili dal sito del Miur, importante non è solo il loro uso (da parte dei decisori politici) ma il loro riuso da parte della collettività. La trasparenza dei dati (open data) potrebbe essere il punto di svolta verso una più ampia partecipazione ai processi di gestione e cambiamento del sistema educativo. Potrebbe: per ora, per dirla tutta in inglese, l’open data is ‘a work in progress’.
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