
L’ipotesi del turn over sembra sottintendere una valutazione del tutto negativa sulla capacità dei “docenti Peter Pan” di aggiornarsi e riconvertirsi alla didattica digitale. Ma nessuno degli insegnanti attualmente in servizio è ‘nativo digitale’: né quelli di ruolo, tra i più vecchi al mondo (oltre 51 anni in media), né i molti che premono alle loro spalle per entrare nella scuola a tempo indeterminato (iscritti alle Gae, tieffini, passini), solo di 10-12 anni più giovani, quasi nessuno sotto i 30 anni.
Un turn-over di massa è impensabile sia per i costi sia perché a quel punto mancherebbero probabilmente gli aspiranti docenti, soprattutto delle fondamentali materie scientifiche e tecniche.
La via maestra verso la scuola digitale a nostro avviso passa per la diffusione delle iniziative sperimentali e delle buone pratiche che per fortuna non mancano anche in Italia, come mostrano le esperienza di Imparadigitale, Bookinprogress e delle ormai numerose scuole cui Tuttoscuola ha dedicato una documentata attenzione negli ultimi anni (ben 18 speciali sulla scuola digitale pubblicati sulla rivista mensile tra novembre 2012 e maggio 2014 sono liberamente scaricabili alla pagina http://www.tuttoscuola.com/scuoladigitale/ ).
Va anche utilizzato al meglio, senza farsene condizionare dal punto di vista pedagogico, l’apporto delle grandi aziende multinazionali che operano in campo tecnologico. Ma è essenziale che tutto parta dal basso, dalle esperienze che gli insegnanti e gli alunni co-costruiscono nelle aule, imparando insieme in un processo in cui insegnamento e apprendimento entrano in simbiosi, fermo restando il diritto-dovere del docente di valutare la qualità dei risultati ottenuti dagli alunni in termini di competenze acquisite, autonomia, senso critico.
Il compito del Ministero, in linea con le indicazioni che vengono all’UE, dovrebbe essere soprattutto quello di assicurare la visibilità e la trasferibilità delle esperienze. La rivoluzione digitale non può essere tolemaica, con il Ministero al centro. O sarà copernicana, nel senso di policentrica e bottom-up, o non sarà una rivoluzione. Almeno in Italia.
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