
Come rianimare, nel senso letterale di restituire un’anima, la scuola-istituzione italiana in crisi di identità? E soprattutto come rispondere alla domanda dei giovani di una scuola più sintonizzata con le loro esigenze, più attenta alla loro soggettività individuale e collettiva, generazionale?
Mentre le diagnosi sullo scollamento scuola-vita ascoltate a Bologna sono sostanzialmente convergenti, e convergente è l’individuazione di alcuni indicatori della gravità del fenomeno in Italia, evidenziati anche attraverso i dati di Tuttoscuola (dispersione scolastica, basse percentuali di diplomati e laureati, gravi squilibri territoriali e per tipologia di scuola, pesanti ritardi rispetto ai benchmark fissati dall’Unione Europea ecc.), le ricette su che cosa fare sono diverse, e si dispongono – in Italia come in altri Paesi – su una gamma di proposte che vanno dalla razionalizzazione e migliore manutenzione del modello scolastico attuale alla sua radicale trasformazione in alcuni aspetti strategici come quello della valutazione didattica e di sistema e quello della struttura curricolare dell’offerta formativa fino ai 18 anni.
La consapevolezza della profondità della crisi che colpisce la scuola italiana ha fatto emergere nel seminario dell’ADi, concluso da alcune riflessioni-provocazioni di Norberto Bottani sugli scenari futuri dei sistemi educativi a livello internazionale, ipotesi come quella della eliminazione delle ripetenze, di una radicale personalizzazione dei percorsi di studio, della sostituzione del valore legale dei titoli con la certificazione delle competenze, della riduzione di un anno del secondo ciclo e della durata complessiva dell’istruzione dagli attuali 13 a 12 anni, come in pressoché tutti i Paesi sviluppati del mondo. Terapie d’urto ritenute da alcuni necessarie, anzi indispensabili, per riconnettere la scuola alla vita dei giovani. E anche per ridare peso, senso, e una nuova mission alla scuola e ai suoi insegnanti.
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