Tuttoscuola: Scuola digitale

Internet: Ocse, studenti italiani assidui navigatori ma senza rotta

Sono navigatori assidui, ma spesso perdono la rotta, perché manca la bussola e la scuola non aiuta a trovarla. I ragazzi italiani passano in media circa un’ora e mezza al giorno ‘online’ e le loro competenze di lettura digitale sono addirittura un po’ sopra la media Ocse (504 punti Pisa rispetto a 497) e sopra quelle di lettura ‘tradizionale’, però nella loro navigazione sono a volte ‘disorientati’ e il ‘digital divide’ sociale c’è ancora, non quantitativo ma qualitativo.

Lo studio ‘Studenti, Computer ed Apprendimento’ dell’Ocse chiama in causa la scuola – non solo quella italiana – perché non riesce a trarre vantaggio dal potenziale offerto dalla tecnologia e dare a tutti gli studenti le competenze di cui hanno bisogno nell’iper-connesso mondo odierno. Nella Penisola il 99% dei quindicenni ha almeno un pc a casa (dati 2012, +2% rispetto al 2009 contro media Ocse 96%) e quasi uno su 3 ne ha almeno tre (+12,7%).

In media ogni ragazzo a casa passa su internet 93 minuti al giorno durante la settimana, meno della media Ocse che è di 104 minuti e 97 minuti nel week end (138 Ocse), mentre a scuola i minuti ‘online’ sono 19 (media Ocse 25). Gli ‘internet-dipendenti’, ovvero i ragazzi che stanno più di 6 ore al giorno davanti al pc a casa, sono il 5,7%, anche in questo caso fortunatamente sotto la media Ocse che è del 7,2% e in alcuni Paesi si avvicina al 10% (Danimarca, Olanda e Grecia) o lo supera (Svezia al 13,2%).

È una categoria – sottolinea l’Ocse – ad alto rischio di solitudine, oltre che di assenze ingiustificate da scuola. Il voto di 504 nella lettura digitale ottenuto dai ragazzi italiani è superiore di 11 punti a quello di paesi che hanno una performance simile nella lettura ‘tradizionale’. Una performance – scrive l’Ocse – ‘forse da collegare alla forte motivazione nel cercare di risolvere compiti online’.

Tuttavia, ‘più della media Ocse i ragazzi italiani sono ‘lost in navigation”. Infatti se da un lato la loro attività di navigazione nel digitale vale un indice pari a 56 (su una scala da 1 a 100), uno dei più alti dell’Ocse contro la media di 48, quando si tratta di navigare in modo mirato verso la risoluzione di un obiettivo preciso l’indice scende a 49, sotto la media che è 50. In Italia il 15% degli studenti è ‘senza bussola’ quando naviga sul web rispetto a un 12% medio e quasi tutti gli studenti in Italia commettono qualche errore nella navigazione, ma solo il 25% corregge tutti gli errori ritornando sulla rotta di navigazione ideale. ‘Non si tratta solo di avere le chiavi di accesso al web, che i ragazzi italiani mostrano di avere, ma anche della capacità di navigare in modo intelligente e proficuo’, spiega all’agenzia di stampa Radiocor Francesco Avvisati, economista Ocse, co- autore dello studio. Molti ragazzi – e non solo gli italiani – ‘non hanno la capacità di dirigere la propria lettura, di dare giudizi sulla pertinenza di una pagina, sulla qualità di un’argomentazione. Cliccano su quello che si muove e non sono selettivi nella loro navigazione, non vanno in modo diretto verso l’informazione che cercano e dovrebbero poi mostrarsi consumatori critici dell’informazione online’, la cui qualità è lungi dall’essere uniforme, sottolinea l’economista. Qui rispunta anche la ‘frattura digitale’ su base sociale. In Italia ha accesso a internet il 92,9% degli studenti svantaggiati, 6,3 punti percentuali in meno degli studenti avvantaggiati, passa su internet 94 minuti (7 in più degli avvantaggiati), ma solo il 66% ottiene informazioni pratiche (il 13% in meno degli avvantaggiati), mentre il 44% naviga su Internet per i giochi (il 2% in più degli avvantaggiati). Sono insomma meno interessati a un uso intelligente di internet e più a un uso ludico. “La frattura digitale si è spostata dalla differenza di accesso all’utilizzo”, sottolinea Avvisati, rilevando che “la scuola non aiuta ad accedere a questo mondo di sapere, a questa ricchezza, a pochi clic di distanza dai ragazzi”.

A scuola in effetti, in Italia, i pc sono pochi, solo uno ogni 4 studenti e solo il 66,8% degli studenti italiani riferisce di usarli contro il 72% medio Ocse. Ma non è un problema di quantità, quanto piuttosto di qualità. Come, avverte l’Ocse, i Paesi che più hanno investito nell’Ict per la scuola negli ultimi 10 anni non hanno visto miglioramenti apprezzabili nelle competenze dei ragazzi, come nel caso di Australia, Gran Bretagna e Paesi nordici e ‘anzi – rileva Avvisati – in Spagna i risultati sono addirittura peggiorati”.

In generale un uso moderato del pc a scuola tende ad associarsi a un qualche miglioramento dell’apprendimento rispetto agli studenti che lo usano raramente. Ma gli studenti che usano molto il pc a scuola hanno risultati in generale decisamente peggiori. Come scrive l’Ocse, “per arrivare a una comprensione concettuale profonda e a un elevato livello di pensiero serve una intensa relazione docente-insegnate e la tecnologia a volte distrae da questo”.

Un’altra interpretazione è che non ci sono ancore le pratiche pedagogiche, cioè la formazione degli insegnanti, per ottenere i maggiori benefici a livello accademico dalle tecnologie. “Aggiungere le tecnologie del 21esimo secolo alle pratiche di insegnamento del 20simo secolo semplicemente diluisce l’efficacia dell’insegnamento. Se gli studenti usano lo smartphone per copiare è improbabile che questo li aiuti a diventare più ‘smart’. La tecnologia può amplificare l’effetto di un ottimo insegnamento, ma un’ottima tecnologia non può sostituire un cattivo insegnamento”.

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