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Fazio: investire in istruzione e ricerca per arrestare il declino

L’Italia ha un grave deficit competitivo nei confronti degli Stati Uniti, del Giappone e dei principali Paesi europei, che potrà colmare solo se investirà in ricerca e in istruzione. Ma quanto si dovrà investire? Secondo il governatore della Banca d’Italia, che ne ha brevemente ma incisivamente parlato nelle sue “Considerazioni finali” di quest’anno, servirebbe una cifra enorme, milioni di euro, ma soprattutto un cambio di mentalità nel mondo delle imprese, che investono in ricerca solo lo 0.5% del PIL, contro il 2% negli Stati Uniti e in Giappone e l’1.8% in Germania. Anche in Francia e nel Regno Unito le imprese investono da due a tre volte più che in Italia. Anche per questo le imprese italiane restano troppo piccole (6.3 addetti mediamente nel 2001), e non si avvalgono adeguatamente delle nuove tecnologie.
Confindustria si è sentita messa sotto accusa, ma ha scaricato la responsabilità sul governo, che secondo il presidente D’Amato non incentiva lo sviluppo, e non premia le imprese innovative. Anche il governatore Fazio, per la verità, aveva richiamato il governo alle sue responsabilità, ma non nel senso desiderato da D’Amato: il governo, a suo avviso, dovrebbe investire di più nell’istruzione secondaria e universitaria, soprattutto negli indirizzi tecnici e scientifici, nei quali l’Italia ha il numero di laureati più basso tra i Paesi industriali. E nell’educazione degli adulti, visto che solo il 10% degli italiani nella fascia di età 25-64 anni ha un titolo di istruzione universitario o postsecondario, contro il 36% degli Stati Uniti e il 30% di Giappone, Regno Unito, Svezia, Finlandia, Belgio.
Lo sforzo finanziario delle imprese (con risorse proprie) e quello del governo sarebbero però ben ripagati. Secondo Fazio gli investimenti delle imprese in ricerca sono la via maestra per la loro crescita dimensionale e competitiva, mentre quelli pubblici in istruzione “consentono, dopo un limitato intervallo temporale, un tasso di rendimento, a livello individuale, non distante dalle due cifre. E il rendimento sociale può risultare molto più alto rispetto alla sola componente individuale”.

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