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Vita di un’insegnante di sostegno: perché Rebecca viene guardata solo a metà?

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Caro Diario,

riflettevo sugli identificativi che si usano tanto in società: il bambino autistico, la bambina down, il ragazzo carrozzato, l’alunno dislessico, la studentessa disgrafica, il ragazzino bes, la ragazzina dsa o peggio ancora l’autistico, il carrozzato, il dislessico, la disgrafica, il bes, la dsa, la down.

Quando li sentiamo a scuola Federica – te la ricordi Federica? È la collega di sostegno che mi insegna ad essere accogliente e paziente con gli adulti – mi guarda chiedendomi di non dire quello che sto pensando. Mi fulmina come faceva mia madre quando da piccola sapeva che stavo per dire qualcosa di poco adeguato. Io deglutisco i pensieri e taccio. Aspetto di rimanere sola con lei per sbottare e chiederle “Perché se lei dice che Rebecca è down, io non posso dire che lei è cretina? Alla fine dico solo la verità”. Federica mi guarda sempre con rimprovero materno quando entro a gamba tesa nelle cose.  

Lo sai che le ho qualificate anche io le persone che a scuola categorizzano i ragazzi in base alla disabilità? Fede me lo lascia fare, ma con moderazione. Non le piace quando mi comporto da ragazzina.

“Dico solo che se vai in giro per la scuola a vantare mille anni di insegnamento o se ti pavoneggi dietro a master e specializzazioni deduco che tu sappia che i ragazzi hanno un nome e che se non resisti dall’identificarli tenendo conto della loro disabilità tra il nome comune e ciò che c’è scritto nella certificazione sai che andrebbe aggiunta la preposizione con”. Federica non coglie mai le mie provocazioni. Non so se lo fa perché non vuole caricarmi oppure se ha perso le speranze. In queste circostanze mi sento tipo Randle Patrick McMurphy che parla con Capo Brondem: io che cerco la rivoluzione cubana, lei che mi insegna la rivoluzione pacifica.

“Come fai a non ribellarti? Rebecca non è down, Rebecca è una ragazza con la sindrome di down”. Federica mi lascia sfogare, parla poco. “Rebecca è un’artista, è bionda, è allegra. Rebecca chiacchiera anche con i sassi e se le dai un microfono in mano è capace di tenere banco per sei ore. 

Rebecca è vanitosa e va detto e sottolineato che porta uno smalto orrendo. Ma l’hai visto il verde della settimana scorsa?” Lei ride, le piace troppo quando descrivo nel dettaglio i ragazzi, quando parlo con loro con naturalezza per conoscerli. “Tu scherzi, ma quel verde va rivisto. È per questo che gli altri non li capisco. Rebecca è tante cose e quando la vedi camminare per i corridoi quello che salta all’occhio, porcapaletta, è il colore delle sue unghie. Non sarebbe più logico chiamarla la ragazza con lo smalto verde? Per questo non capisco Fede. Perché? Perché la chiamano la ragazza down?

Sta zitta e prende fiato. 

“Perché loro, Sara, la guardano solo a metà”

“Non guardarmi solo a metà. Oltre la sindrome di Down c’è una persona intera”
14 ottobre 2018 – Giornata Nazionale delle Persone con Sindrome di Down

Guarda il video e ascolta il messaggio di Nicola Tagliani, dell’Associazione Italiana Persone Down:

 

Sara

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