Dove va l’alternanza scuola – lavoro

Nel frattempo, dietro la spinta delle organizzazioni produttive, la legge 107/2015 ha reso obbligatoria l’alternanza in tutte le scuole superiori, senza cambiare nulla sul piano della governance complessiva del sistema. Lo Stato ha messo consistenti finanziamenti nell’operazione, ma a tutt’oggi è ancora impegnato ad evitare applicazioni improprie della stessa legge; le analisi dell’esperienza non si sono ancora spinte a dimostrarne del tutto l’efficacia didattica. La situazione di crisi economica poi non fa guardare con speranza all’occupazione giovanile e la pedagogia del lavoro non è entrata a far compiere quella svolta necessaria al nostro sistema formativo.

Se si vuole basare tutto sull’alternanza, si tratta di imprimere un forte rinnovamento didattico-organizzativo al sistema stesso, spinta che la “buona scuola” non sembra avere, a cominciare da una più decisa autonomia degli istituti scolastici e dei loro rapporti con il territorio. Non si può non tenere conto tuttavia dei diversi livelli di sviluppo economico delle zone del Paese. Ma qui le scuole possono offrire il loro sostegno, come avveniva in passato all’epoca delle aziende agricole degli istituti o di altri laboratori innovativi per il loro tempo.

Un altro aspetto riguarda il rapporto tra i curricula scolastici e le caratteristiche degli  ambienti formativi che si frequentano: finito lo stage non si può tornare in aula a seguire come prima le stesse lezioni frontali e valutare gli allievi secondo logiche deterministiche; i curricula medesimi devono essere modulabili e gli studenti poter intervenire nella loro elaborazione. Il problema delle competenze acquisite si risolve a partire da un determinato contesto e procede attraverso il continuo confronto dei crediti, come richiedono gli standard europei.

Si tratta quindi di superare le ripetenze e gli insuccessi per far leva in modo deciso sull’orientamento, in cui cercare di comprendere le problematiche relative alle difficoltà di apprendimento, di crescita/motivazione e di disagio sociale. Una didattica che tenga in stretta relazione le competenze generali e professionali con adeguate metodologie e verifiche formative (vedi prove INVALSI, PISA, ecc.), non solo occupazionali.

Una tale impostazione deve poter ricadere sulla fine della scuola secondaria di primo grado, ed i primi due anni del secondo ciclo, dove non è il caso di favorire uscite anticipate dalla porta di servizio, ma di far interagire diversi segmenti formativi, anche in vista della certificazione delle competenze a fine obbligo.

Un quinquennio dove sia possibile maturare scelte consapevoli ed evitare la dispersione che come si sa è possibile recuperare davvero solo all’interno del sistema. In azienda ci si andrà quando i giovani avranno irrobustito la loro personalità e saranno così in grado di entrare proficuamente nelle dinamiche del lavoro.