Università/2. Premiare i forti e punire i deboli?

La filosofia cui si è ispirata la distribuzione su base meritocratica del 7% del Fondo di finanziamento ordinario per le università statali italiane è una filosofia di tipo – in senso lato – mercatistico, volta ad incentivare la concorrenza tra le sedi.

Nell’ambito delle politiche pubbliche le strategie di intervento, in presenza di squilibri nell’offerta di servizi, possono essere di due tipi: individuare e premiare chi fa meglio, puntando su effetti imitativi nella ricerca del miglioramento, oppure individuare e sostenere chi fa peggio, per aiutarlo a migliorare.

La prima di queste strategie, che in qualche modo sembra essere quella scelta dal ministro Gelmini, è probabilmente la più efficace in termini di risultato complessivo, perché introduce elementi di forte pressione verso il cambiamento (in meglio) tenendo presenti i modelli internazionali di classificazione della qualità, ma ha il limite – grave agli occhi di una certa visione tradizionalista e ugualitaria dell’intervento pubblico – di far crescere, o comunque evidenziare e legittimare le disuguaglianze.

Sullo sfondo di questa visione neomercatistica (o neomalthusiana, a seconda dei punti di vista) della politica universitaria, sta la chiusura dei corsi e degli atenei che non “reggono” la concorrenza, e che stanno al di sotto di una soglia minima di qualità. La domanda, tenendo conto dell’interesse degli studenti, che dovrebbe essere prioritario, si può così riassumere: perché no?