Treellle: per l’università più risorse e più Europa

Non si preoccupi, ministro, i soldi li abbiamo già chiesti”… Così Gaetano Manfredi, presidente della CRUI e rettore dell’università “Federico II” di Napoli, ha accolto la ministra Valeria Fedeli, arrivata verso le dieci mentre era in corso il suo intervento su “Risorse finanziarie: fonti e modalità di allocazione”.

Ma il ritardo era voluto…” è stata la controbattuta della Ministra, che ha poi seguito tutti gli interventi della densa mattinata svoltasi a Roma, presso la facoltà di Lettere dell’università Sapienza, dedicata alla presentazione delle proposte contenute nel Quaderno n. 13 della associazione TreeLLLe intitolato “Dopo la riforma: università italiana, università europea?”

Se però c’è stato un punto sul quale si è verificata la sostanziale convergenza di tutti gli interventi ascoltati al convegno è stata proprio la richiesta di “più soldi” per l’università, che in Italia è molto sottofinanziata: l’1% del PIL nazionale contro l’1,4% della media UE e l’1,6% della media Ocse (mentre la spesa per la scuola è allineata con le medie internazionali, ha osservato Attilio Oliva, presidente di Treellle). Più soldi però non a pioggia, ma a sostegno della qualità, dell’innovazione e della internazionalizzazione delle università in un quadro di programmazione pluriennale della spesa che privilegi tali obiettivi, come ha detto Marco Mancini, capo dipartimento per la formazione superiore e ricerca del MIUR e già rettore e presidente della CRUI.

Il secondo punto di convergenza verificatosi nel convegno è la proposta di creare un vero spazio europeo per l’università modificando in tal senso i Trattati europei e inserendo la tematica dell’istruzione superiore (non quella della scuola, è stato specificato, per evitare resistenze di segno neo-nazionalistico) tra le materie a competenza concorrente. L’Italia – ha detto in particolare Luigi Berlinguer nel suo intervento, ripreso anche da altri relatori – potrebbe avanzare questa proposta, che finora non è stata ancora fatta da altri Paesi, finalizzata anche al rilancio dell’Europa come soggetto culturale (ma anche economico) più forte e più coeso, e perciò più competitivo nei confronti degli altri grandi soggetti operanti a livello planetario.

Altra tematica molto presente nell’incontro (ne hanno parlato, in particolare, Alberto Felice De Toni, rettore dell’università di Udine, e Gianfelice Rocca, presidente di Assolombarda) è stata quella della creazione di “Scuole Universitarie Professionali” di durata triennale.

È stata data la parola, prima dell’intervento conclusivo della ministra Valeria Fedeli, anche a un rappresentante dei ricercatori e a uno studente, mentre all’esterno della Sapienza si sono verificati tafferugli provocati dagli studenti ai quali era stato impedito di entrare nell’aula dove si svolgeva il convegno.

Fedeli ha dato atto a Treellle di aver prodotto un’analisi seria, certamente utile per i decisori politici. Tre punti di impegno: rinnovamento della didattica; garanzia di un migliore e più mirato diritto allo studio; più autonomia, ma anche più qualità e più rigore.

Infine, sulle risorse, serve un impegno collettivo, “senza scontri partitici”, per chiedere all’Europa che gli investimenti per l’istruzione superiore siano esclusi dai vincoli che gravano sulla finanza pubblica. “Almeno per cinque anni”, ha detto.   

Riportiamo infine qui di seguito le “Considerazioni finali” del Quaderno di Treellle.

  • Confrontando i dati con i paesi più avanzati della UE, l’università italiana non regge il confronto. Per di più opera in un contesto socio-culturale ancora arretrato (e per lo più poco noto): in base all’indagine OCSE/PIAAC del 2012 solo un 30% della popolazione italiana ha un adeguato livello di conoscenze e “competenze funzionali” (dato tra i peggiori in Europa), contro una media del 51% degli altri paesi presi in considerazione; solo il 17% (popolazione 25-64 anni) ha un titolo di studio di livello universitario, contro una media UE-22 del 32%; 

  • una contraddizione: il sistema terziario produce un output di “formati” inferiore agli standard europei, ma il sistema produttivo sembra non assorbire neppure questi. E’ l’inadeguatezza del primo o la scarsa propensione all’innovazione del secondo? 

  • Dal 2008 il MIUR e il MEF hanno applicato all’università tagli severi sia sul piano finanziario che per il reclutamento di nuovo personale (unico caso di decremento nella Pubblica Amministrazione). Fu una risposta a una crescita abnorme di numero dei corsi e dei docenti e di pesanti squilibri finanziari di troppe università (“autonomia irresponsabile”); 

  • per TreeLLLe, se era giusto modificare profondamente le regole del gioco (come il costo-standard, le quote premiali su VQR, il reclutamento, la governance, etc.), la scelta di tagliare le risorse, già tra le più basse d’Europa, non è stata così saggia. L’Italia è uno dei pochissimi paesi dell’OCSE che dal 2008 ha ridotto la spesa per l’istruzione superiore come percentuale del Pil, mentre la maggioranza degli altri paesi la ha aumentata; 

  • la legge 240/2010 sull’università e i successivi decreti attuativi del MIUR (meccanismi di allocazione risorse, etc.) hanno creato le condizioni di base affinché l’università italiana si sviluppi secondo modelli europei (“autonomia responsabile”) anche se sussistono zavorre operative e di costume che vanno rimosse; 

  • va sottolineato che l’università è stata, in questi ultimi anni, l’unico settore della Pubblica Amministrazione che si sia sottoposta a una importante riforma; 

  • se vogliamo che il Paese risulti competitivo nello scenario internazionale e riprenda una crescita sostenibile, è necessario che il governo e la pubblica opinione ridiano fiducia al sistema universitario con congrue risorse aggiuntive, fermo restando che le università diano corpo alle nuove regole del gioco e ad un’auspicabile rafforzamento del potere decisionale delle figure apicali. 
Le recenti risorse aggiuntive deliberate nell’ambito della legge di stabilità 2017 sono un primo modesto ma apprezzabile segnale. 

  • Per concludere, resta il fatto che la UE paga un alto costo per il ritardo nella creazione di un efficace e integrato “spazio europeo della istruzione superiore” e che, per rispondere alla domanda del titolo di questa pubblicazione, “l’università italiana non è ancora europea”.