Tra musica e scuola il solito convitato di pietra, la tecnologia

Bene, mettetevi comodi. E, se vi va, ascoltate un po’ di musica.

No, non mi sono spiegata, non ho detto di accendere lo stereo.

Ho detto di ascoltare un po’… “di musica”, di una questione che riguarda la musica.

Proviamo per un attimo a prendere le distanze (senza negare nulla, per carità) da definizioni quali: la musica  è  evasione, coinvolgimento dei sensi, linguaggio universale, esperienza dell’anima… per citarne solo alcune, tra le più diffuse.

Concentriamoci invece sul fatto che la musica sia anche mestiere.

Può sembrare un tantino meno nobile, ma lo è solo in apparenza.
La musica non va solo composta, va prodotta, insegnata, diffusa, pubblicizzata.
Insomma, la musica va CURATA.
E poiché penso che prendersi cura di qualcosa o di qualcuno sia la forma più nobile e silenziosa dell’amore, rendo onore innanzitutto a tutti coloro che a vario titolo si prendono cura anche della musica.
Certo, cambiano i contesti sociali, le coordinate storiche, gli aspetti legati al mercato assumono un peso più o meno  determinante;  la musica però è sempre lì, con la sua ineguagliabile potenza, irrinunciabile perché  non solo ci accompagna, ma ci aiuta a crearci un’identità.

Quest’ultimo aspetto ha reso ai miei occhi paradossale una situazione nella quale mi sono recentemente imbattuta; ma procediamo per ordine.

Se la musica aiuta a crearci un’identità, due mi paiono le conseguenze: da un lato il suo ruolo che dovrebbe essere molto più riconosciuto all’interno del nostro sistema scolastico e questo comporta un’attenzione da parte dei legislatori e, a cascata, un aumento del monte ore dedicato, un piano di formazione per i docenti… Non sono forse gli anni della scuola quelli nei quali ci si crea un’identità?
Il secondo aspetto riguarda la dimensione culturale della disciplina, quel suo essere in continuo contatto con l’uomo e le sue trasformazioni all’interno della società, ciò che la rende nella sua essenza eterna ma mutevole.
Dalla riflessione su questi due aspetti nasce quel misto di rammarico  e incredulità per quanto sta accadendo ad un numero significativo di docenti di Tecnologie Musicali, classe di concorso A063, disciplina caratterizzante, potremmo dire “di peso”,  dei nostri Licei Musicali: questi docenti sono responsabili  di un aspetto fondamentale del curricolo, quello che dovrebbe permettere agli studenti di fare scelte consapevoli sul proprio futuro valutando percorsi universitari, legati all’Alta Formazione o al mercato del lavoro; sono  in possesso di titoli accademici specifici di I e II livello; in molti casi hanno dato un contributo determinante alla nascita dei nostri Licei Musicali; ci lavorano da anni perché, seppur da precari, sono gli unici in possesso di competenze adeguate per gestire laboratori e attrezzature di questo tipo;
eppure…..

Sì, c’è un “eppure”: sono stati esclusi dai precedenti concorsi del 2016 e 2018 e si ritrovano a poter partecipare a quest’ultimo, bandito il 28 aprile scorso, ma con possibilità pari a 0 o quasi  di poter  entrare in ruolo, visto che la maggior parte delle cattedre che avrebbero potuto proficuamente occupare sono di fatto state coperte da docenti abilitati all’insegnamento di “musica” nella Secondaria di I grado, privi del servizio e del titolo di studio specifici, professionisti indiscussi che però provengono da altri contesti e hanno maturato altre competenze (“qualsiasi diploma accademico di II livello, conservatorio, purchè il piano di studio seguito abbia compreso almeno 36 crediti nel settore delle nuove tecnologie audio-digitali e/o della musica elettronica”).
Semplifico ulteriormente con un dato numerico: è stato permesso di occupare queste cattedre a professionisti che avevano nel loro percorso di studi 36 crediti per questo ambito e sono stati esclusi professionisti che ne avevano 300 (180+120 per diplomi accademici di I e II livello).

Converrete con me che il misto di rammarico e incredulità ha una sua ragion d’essere.

Evidentemente non si tratta di creare schieramenti opposti ma di dare il legittimo riconoscimento alla professionalità di ciascuno: non mi pare infatti così remota la possibilità che diplomati in strumento al conservatorio abbiano poca dimestichezza  con il coding audio,  il protocollo MIDI,  con il funzionamento di un sintetizzatore o  con un sequencer. Di contro si ritroveranno magari nelle classi dei licei musicali, allievi che già sono pratici di informatica musicale utilizzando sequencer, synth virtuali, plug-in e quant’altro.

Non voglio pensare ad una atavica e latente diffidenza nei confronti della tecnologia musicale, molto utilizzata ma forse non sufficientemente conosciuta e valorizzata, una sorta di terra di mezzo da percorrere per giungere ad altro.
Anzi, non voglio proprio dare letture o interpretazioni, sarebbero probabilmente azzardate perché non supportate da sufficiente esperienza e conoscenza del settore.

Mi tengo il mio rammarico e la mia incredulità e mi auguro che la miopia di alcuni non faccia troppi danni a questa scuola così viva, così forte, così intrinsecamente polifonica con le sue mille voci armonizzate in un’unica melodia.

Proprio come la musica. Pensa un po’.