Studenti non sanno l’italiano, scuola primaria sotto accusa, Cidi: ‘Nessuno tocchi le Indicazioni Nazionali’

Studenti universitari scrivono e leggono come ragazzini di terza media. Questa è la notizia che sta circolando tantissimo in questi giorni non solo su giornali e tv, ma anche sui social e sulle bocche dei diretti interessati che si chiedono “Di chi è la colpa?“. In realtà, secondo molti, la vera domanda dovrebbe essere: cosa bisogna fare ora? Giuseppe Bagni, presidente del Cidi (Centro iniziativa democratica insegnanti) prova a dare una risposta con un intervento inviato alla nostra redazione.

Stupisce il documento scritto dal ‘Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità’ dal titolo: ‘Saper leggere e scrivere: una proposta contro il declino dell’italiano a scuola’ – afferma Bagni – Si denuncia la presenza di gravi carenze linguistiche negli studenti universitari e si indicano quali primi responsabili la scuola primaria e le nuove Indicazioni nazionali, senza fare alcun cenno alle responsabilità della scuola secondaria di I e II grado, dove da anni si perpetuano i vecchi programmi. Anzi, quest’ordine di scuola è chiamato addirittura a visionare l’operato della scuola primaria, che dovrebbe invece essere valorizzata per la sua capacità di ascolto e maggiore sensibilità pedagogica. L’appello si conclude con l’obsoleta richiesta di più grammatica (sintassi e lessico)“.

Il presidente di Cidi non intende però entrare nel merito della questione, ma sollevarne altre: “La prima – scrive – riguarda le Indicazioni nazionali rispetto alle quali occorre notare che l’impianto è basato sullo sviluppo delle competenze di cittadinanza europee per tutti gli allievi e non soltanto per alcuni, come nei programmi gentiliani. Fra queste, le competenze della madrelingua sono centrali e trasversali. Ciò che reclamano gli estensori della lettera è nel Documento della primaria abbondantemente presente (riflessione sulla lingua, elementi di grammatica esplicita, espansione del lessico, ortografia). Lo troviamo anche arricchito da passaggi che esaltano tratti metalinguistici e metacognitivi per la promozione delle abilità linguistiche (ascolto, orale, lettura, scrittura). Quindi ci viene il dubbio che non vi sia stata del Documento una lettura approfondita, che potrebbe aiutare a cogliere lo spessore teorico e didattico delle Indicazioni, nonché i riferimenti aggiornati sul piano epistemologico e psicopedagogico”.

Continua poi Giuseppe Bagni: “La seconda considerazione si basa su una semplice riflessione: per scrivere una lettera-appello alle Istituzioni bisognerebbe esser sicuri di conoscere concretamente la realtà scolastica. Chiariamo subito che tale conoscenza implica l’aver praticato ricerca e sperimentazione didattica, aver stabilito contatti con le scuole e con i docenti, l’aver osservato attentamente le prassi operative o aver svolto indagini statistiche in questo settore. Altrimenti si rischia di cadere in errore, come nel caso in questione. Dall’esterno potrebbe difatti non essere così evidente che le Indicazioni nazionali non sono state da gran parte delle scuole applicate (nella primaria e secondaria di I e II grado sono frequentemente sconosciute o comunque disattese). Questa situazione non dipende principalmente dai docenti, quanto dalle scelte politiche e gestionali a livello ministeriale, che orientano su tematiche ‘alla moda’. Per realizzare la scuola delineata dalle Indicazioni nazionali è necessario studio, riflessione, acquisizione di consapevolezze, rielaborazione teorica e operativa, ecc.; abilità che si acquisiscono con una formazione in servizio mirata (ricerca e sperimentazione nell’ambito specifico) distesa nel tempo. Mentre la politica scolastica e la direzione delle scuole indirizzano verso altro (clil, digitale, robotica, coding, ecc.). Indicativo dell’indirizzo della politica ministeriale per la formazione in servizio è il fatto che recentemente, durante il convegno sugli animatori digitali organizzato dal Ministero, sono stati annunciati dal capo dipartimento per la programmazione e la gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali del Miur, 70 milioni di fondi PON con l’obiettivo di inserire il coding nella scuola primaria. Quando per la formazione sulle nuove Indicazioni del 2102 per il primo ciclo le risorse utilizzate, nell’arco di due anni scolastici, per tutte le discipline scolastiche, sono state di circa 4 milioni di euro“.

Cosa fare quindi per migliorare la situazione degli studenti? Investire e formare i docenti prima di tutto: ” Senza un investimento umano ed economico risulta difficile dar vita a una scuola di cittadinanza per tutti – spiega quindi Bagni – Un simile progetto richiede una formazione permanente per i docenti che operano nella scuola; ciò è attuabile essenzialmente in Laboratori stabili di ricerca e sperimentazione, di monitoraggio, valutazione e di documentazione finale, guidati da esperti-tutor individuati autonomamente dalle scuole. Nel piano di formazione nazionale purtroppo si sta verificando tutto il contrario. Si ignora il problema e si privilegiano argomenti che non hanno niente a che vedere con il fare scuola, nel nostro caso, col fare linguistico quotidiano. Da ciò consegue che le Indicazioni nazionali, essendo nella scuola del primo ciclo, e non solo, praticate in minima parte, non possono causare alcun danno“.

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