Educare alla cittadinanza/1. Un dilemma mai risolto

Il dilemma sulla mission primaria della scuola – se essa debba solo istruire, o debba anche educare gli alunni, affiancando alle conoscenze e alle competenze l’insegnamento/apprendimento di valori – è antico, e si può dire che ha attraversato tutta la storia della scuola italiana dal dopoguerra ai nostri giorni.

Esso viene riproposto oggi, non solo in Italia, alla luce dei nuovi problemi posti dalla globalizzazione e dai grandi flussi migratori che caratterizzano l’inizio del XXI secolo. Ma per l’Italia la questione affonda le sue radici nel dibattito sviluppatosi dopo la fine della seconda guerra mondiale sul rapporto tra scuola e società, dominato dalla preoccupazione di rimuovere ogni traccia di quel ruolo di formazione etico-politica che il fascismo aveva assegnato alla scuola. Solo nel 1958 (ministro della PI Aldo Moro) si decise di introdurre l’insegnamento dell’educazione civica, centrata sui valori costituzionali, ma senza farne una vera materia, forse proprio per evitare ogni rischio di indottrinamento.

Il tentativo più organico di dare a questa non materia una dimensione curricolare fu fatto dalla commissione Brocca (1988-1994), che inserì nei programmi sperimentali due ore settimanali di ‘Economia e Diritto’ nell’area comune del biennio iniziale di tutte le scuole secondarie superiori, pagando però lo scotto di una interpretazione nozionistica della disciplina da parte degli insegnanti.

Anche i ministri Moratti e Gelmini provarono ad affrontare la questione senza mai risolvere il problema dell’identità concreta di questo insegnamento, che è rimasta impalpabile, rimessa alla buona volontà e alla fantasia dei docenti oltre che a una serie di iniziative sperimentali, come quelle legate all’educazione alla legalità, all’ambiente, alla parità, o istituzionali come le visite scolastiche in Parlamento o le celebrazioni della Costituzione.

Ma la formazione alla cittadinanza, nelle sue varie denominazioni, non ha mai preso corpo, si sostiene da parte di alcuni, perché non si è mai preso atto del fatto che per essere efficace essa si dovrebbe collocare sul terreno delle pratiche, dei comportamenti, insomma delle competenze agite, della vita vissuta e delle emozioni, non su quello delle conoscenze astratte, decontestualizzate.