Scuola in ospedale, l’esperienza di una docente: ‘cosa vuol dire davvero insegnare in corsia’

Riceviamo e pubblichiamo l’esperienza di una nostra lettrice sulla scuola in ospedale.

La mia avventura è cominciata per caso, dopo 15 anni di insegnamento nelle classi di scuola media sia come docente di lettere (la mia classe di titolarità) che come docente di sostegno, arricchita anche da progetti di vario tipo tra cui l’insegnamento dell’italiano come seconda lingua, le life skills, la cittadinanza attiva. Pensavo di aver visto e fatto quasi tutto. Immaginavo di lavorare anche quest’anno come docente di sostegno, e invece, insomma, quei codici della scuola ospedaliera inseriti in mezzo a tanti altri nella domanda di utilizzo mi hanno portato lì.

Non immaginavo tanta fatica dal punto di vista emotivo: quando inizi a stabilire delle relazioni con delle persone, dei volti, delle storie che non sono più una possibilità teorica, qualcosa che sai che esiste e che forse, per il momento, non è accaduto a te, credetemi, le cose cambiano molto. Ma non immaginavo neanche tanta complessità da un punto di vista organizzativo. Essendo in lizza per il concorso dei Dirigenti Scolastici mi è stato proposto anche di coordinare i docenti della scuola ospedaliera. All’inizio sono rimasta semplicemente spiazzata. Mi sono bastati pochi giorni per capire che il lavoro del docente in ospedale è un lavoro che non si può programmare, quasi mai, mentre è necessario, dall’altra parte, creare una rete di fiducia, di relazioni attorno ad ogni singolo alunno che venga ad incrociare il tuo cammino per un certo numero di giorni. Ogni situazione è diversa dalle altre, e già ognuna delle 5 strutture ospedaliere che fanno capo all’Istituto Comprensivo Cavalieri di Milano è molto diversa dalle altre per le situazioni  che ospita e per le modalità di affrontarle. Bisogna sempre entrare in punta di piedi, sapere che le esigenze formative sono in subordine a ben altre esigenze ed entrano in gioco solo quando, con la collaborazione di famiglie, personale medico, docenti della scuola di riferimento  abbracciano un programma mirato al recupero del benessere psicofisico dei ragazzi. E allora si può parlare di motivazione alla guarigione, di esplorazione delle proprie potenzialità, ragionare del bisogno che i ragazzi hanno di sentire che qualcun altro si prende cura di loro e che quei pochi minuti o quelle ore di normalità preludono, nella maggior parte dei casi, ad una nuova ‘normalità’ che li aspetta.

Pochi minuti o poche ore, dicevo. Spesso, il numero di ore dei docenti ospedalieri riesce a coprire solo in parte le esigenze dei ragazzi presenti. Io ad esempio, nelle mie 18 ore settimanali, lavoro in 3 diverse realtà milanesi: quella del Policlinico, quella del Fatebenefratelli e quella della UONPIA di via Pace. Al Policlinico mi capita sia di lavorare con i ragazzi del reparto della dialisi, che seguono terapie fisse e frequentano la scuola per un numero ridotto di ore, sia di lavorare con i ragazzi degenti per un numero più o meno lungo di giorni, nei reparti fibrosi cistica o pediatria ad alta intensità di cura. Nella casa pediatrica del Fatebenefratelli invece incontro anche molti ragazzi con disturbi alimentari, talvolta vittime di violenza fisica e psicologica. Alla UONPIA mi capita di approcciare adolescenti che vivono momenti di disagio e difficoltà che impediscono loro di compiere un percorso di studi regolare, per i quali è spesso necessario realizzare una sorta di “progetto ponte” che permetta loro di trovare la serenità e la motivazione di tornare sui banchi. Con alcuni posso lavorare solo in camera, con altri posso utilizzare spazi appositamente creati per lo studio (specialmente al Fatebenefratelli) dove i ragazzi si incontrano e familiarizzano, stabiliscono rapporti, anche se non sempre è possibile lavorare in piccoli gruppi vista la differenza delle età e delle esigenze didattiche. Con altri ancora devo lavorare mentre sono attaccati a dei macchinari, durante terapie di routine, con tutta la delicatezza che ciò comporta.

Lavoro sempre a contatto con infermieri, medici ed educatori professionisti, contatto decine di docenti della Lombardia e a volte non solo, per accordarmi sui contenuti e sulle abilità sulle quali lavorare, mi coordino al meglio possibile con gli altri colleghi che interagiscono con me nei reparti (perché spesso noi docenti della secondaria non siamo presenti tutti contemporaneamente per coprire tutte le esigenze nei diversi momenti e quindi dobbiamo anche attivare strategie di comunicazione creativa). Per i ragazzi delle scuole superiori, non essendo presenti direttamente sezioni di secondaria di secondo grado ed essendo il ventaglio delle materie di studio ovviamente molto ampio, bisogna ottimizzare le risorse a disposizione che si hanno nel migliore dei modi: presenza di giovani volontari, somministrazione di verifiche a distanza, collegamento via Skype con la scuola di appartenenza, supporto motivazionale e metodologico fin dove è possibile.

Spesso è quindi necessario integrare le attività didattiche con attività ludiche, ricreative, espressive.

Con i miei colleghi abbiamo provato ad attivare alcune iniziative in questo senso. Intanto abbiamo ipotizzato un piccolo progetto di apprendimento/servizio, che coinvolge sia gli alunni della scuola primaria del coro che gli alunni della scuola secondaria del coro e delle classi ad indirizzo musicale del nostro Istituto di riferimento: stiamo organizzando un piccolo numero di appuntamenti musicali, presso le strutture ospedaliere, per allietare per un breve periodo la vita dei piccoli pazienti e delle loro famiglie. Al Fatebenefratelli alcuni ragazzi hanno avuto l’autorizzazione dal Primario per dipingere una parete dell’ospedale. Alcuni bambini del reparto dialisi del Policlinico hanno vinto un giro in elicottero la scorsa estate con un concorso riservato alle scuole in ospedale, e adesso stanno realizzando un libro sulle malattie renali in occasione della giornata mondiale del rene.  Riteniamo che la creatività, sotto tutti gli aspetti, sia un elemento fondamentale per recuperare il benessere psicologico e l’autostima, e cerchiamo di lavorare, sotto tutti gli aspetti, in questa direzione.

Spero in così poco spazio di aver descritto in maniera sufficientemente chiara cos’è la scuola in ospedale, o almeno una piccola parte di essa. Si tratta, comunque, di un’esperienza che per molti di noi docenti rimane, per varie ragioni, inevitabilmente temporanea e transitoria, ma che senza dubbio può rappresentare un arricchimento professionale e umano notevole, in qualunque momento della carriera. Grazie a coloro che mi supportano ogni giorno in questo lavoro“. 

Valentina Manzo