Tuttoscuola: Scuola digitale

Scuola 2.0/1. Rivincita dei libri di carta?

E’ appena uscito nelle librerie l’ultimo lavoro di Adolfo Scotto di Luzio, storico della scuola dell’università di Bergamo, intitolato “Senza educazione. I rischi della scuola 2.0” (il Mulino).

Si tratta di una riflessione, non nuova per questo autore, sui compiti della scuola e degli insegnanti in un tempo, come il nostro, dominato nel bene e nel male dalle nuove tecnologie. Più nel male che nel bene, è la tesi di Scotto di Luzio, almeno per quanto riguarda le conseguenze che l’uso e l’abuso delle tecnologie provocano sull’insegnamento e sull’apprendimento: l’abbandono del libro, che meglio si presta alla riflessione e alla costruzione di un pensiero complesso, in favore di strumenti elettronici che privilegiano il rapido accesso a una massa di informazioni precostituite, spesso ipersemplificate, mette in crisi la funzione principale della scuola, che è quella di educare, cioè di formare cittadini consapevoli, maturi, capaci di valutare e decidere in modo autonomo. 

La sua tesi è che la scuola 2.0 di per sé non migliora la situazione di partenza, anzi rischia di peggiorarla perché mette in crisi i piani di studio tradizionali, e i professori che li insegnano, introducendo strumenti e metodologie sulle cui ricadute in termini di ‘educazione’, come la intende l’autore, è legittimo esprimere più che un dubbio.

Secondo Scotto di Luzio la variabile che influisce maggiormente sulla qualità e sull’equità (parità di opportunità per gli studenti) di un sistema di istruzione non è quella tecnologica, ma quella professionale: la preparazione degli insegnanti, la loro sensibilità culturale, la loro capacità di coinvolgere gli studenti.

Al massimo, ammette lo studioso, le tecnologie possono essere utili nell’istruzione tecnico-professionale, a supporto in particolare degli insegnamenti più legati all’acquisizione di competenze professionali, ma sono inutili nell’istruzione liceale (l’archetipo della ‘buona educazione’). Se il professore è bravo ottiene comunque buoni risultati, anche senza tablet. Se invece lo usa, ottenendo egualmente buoni risultati, conclude Scotto, si può essere sicuri che il merito è suo, non del tablet.

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