Ritorno a scuola: 10 domande a cui rispondere prima di tornare sui banchi a settembre

Pubblichiamo la lettera giunta alla nostra redazione e scritta da due docenti della scuola secondaria di primo grado, Anna Parodi e Barbara Zanone.

Come tutti o quasi, avremmo molta voglia di tornare a scuola a settembre, di rivedere ragazzi e colleghi. Però, prima di mettere piede in una classe, vorremmo porre alcune semplici domande, di quelle che non abbiamo ancora letto nelle tante discussioni su questo argomento.

1. Cosa fare se in classe un ragazzino irrequieto strappa la mascherina a un altro? O si avvicina troppo, gli mette le mani addosso? Di chi è la colpa, di me docente che non sono riuscita a intervenire in modo fulmineo? Del resto, come posso dividere due alunni se non posso avvicinarmi a loro per questioni di sicurezza?

2. Cosa succede nella disgraziata ipotesi che l’alunno a cui è stata strappata la mascherina prenda il coronavirus dall’altro? Chi dovrà risponderne? Il caso rientra nella “culpa in vigilando”? Ricordiamo che i docenti e ancora più i presidi sono considerati responsabili di quasi tutto quello che succede a scuola e che il rischio di denunce è già ora altissimo.

3. Cosa fare se un alunno durante la lezione mi dice “Prof, ho la febbre”? Dove lo metto ad aspettare che i suoi genitori vengano a prenderlo? E ancora, a questo punto gli altri alunni e noi docenti che siamo entrati in contatto con lui o lei dobbiamo metterci in quarantena in attesa che il ragazzo faccia un tampone? E quelli della classe a fianco che faranno?

4. Cosa fare quando un docente si sveglia con la temperatura oltre i 37,5 e rimane quindi a casa come da precise disposizioni? Ricordiamo che spesso, in caso di assenza degli insegnanti, si ricorre alla divisione delle classi. Ricordiamo che, nella secondaria di primo grado, non possono essere convocati supplenti per assenze inferiori ai 15 giorni. E se mancano più insegnanti contemporaneamente, magari perché un paio hanno la febbre e uno si è rotto una gamba? Si continuerà a smistare gli alunni stipandoli in altre aule sperando che Dio ce la mandi buona? Ma come fare se ora le classi dovrebbero contenere un numero limitato di alunni?

5. E qui veniamo al nodo più intricato. Sentiamo parlare di lezioni di 40 minuti per consentire il lavoro in piccoli gruppi. Ipotesi su cui è giusto lavorare, ma che suscita più di una perplessità. A cosa si ridurrà la lezione una volta fatto l’appello e controllato che tutti abbiano la mascherina perfettamente indossata, le mani igienizzate e che la distanza interpersonale sia in regola? Come è possibile prevedere una lezione di quaranta minuti nel caso in cui si faccia lezione, come si è detto, in cinema o musei? In quest’ultima ipotesi, peraltro, gli insegnanti devono essere due, come è obbligatorio per le uscite didattiche. E se poi uno degli insegnanti manca, di nuovo sarà scoperto uni dei gruppi classe da quaranta minuti. Che si fa?

5. Quanti collaboratori scolastici saranno necessari per garantire l’igienizzazione? Ci sono i soldi per pagarli? E quante volte dovranno pulire i bagni se è previsto l’accesso a un ragazzo per volta? E la pulizia coincide con la sanificazione o quest’ultima andrà svolta da personale specializzato?

6. Esisterà ancora la ricreazione? E se sì, come posso garantire la distanza fra gli studenti? Chiunque conosca la vita in classe, se non altro per esserci stato un tempo, sa bene quale è la realtà di un intervallo in aula: ragazzi che chiacchierano e mangiano, che scherzano e non di rado si spintonano.

7. Come bisognerà comportarsi con gli alunni con handicap grave, con i quali spesso gli insegnanti e gli educatori hanno spesso la necessità di entrare in contatto fisico, ad esempio per aiutarli a fare merenda o allacciarsi le scarpe o semplicemente per tranquillizzarli in caso di momenti di forte insofferenza? Come garantire il sacrosanto diritto all’istruzione con il diritto alla sicurezza in fatto di salute per insegnanti ed educatori e per gli stessi alunni?

8. Sarà davvero possibile fare didattica vera in aula a settembre con le restrizioni di cui si sta parlando? L’impressione è che, anche se fosse possibile rispettare tutte le regole (e secondo noi non lo è), il ruolo dei docenti sarebbe soprattutto quello di sorveglianti. Mancherebbe il tempo e il modo per fare davvero il nostro lavoro, mancherebbe il tempo per i contenuti.

9. Dove sono le aule per sdoppiare i gruppi classe per le famose lezioni di 40 minuti? Di norma nelle scuole mancano gli spazi, le aule sono spesso piccole e sovraffollate. E gli organici? Gli uffici scolastici regionali al momento stanno lavorando senza prevedere un aumento di docenti e di numero classi, anzi in alcuni casi lavorando su una logica di accorpamento piuttosto che di divisione. Che succede? Ci sono istituzioni che non si parlano?

10. Ultimo punto da chiarire: la didattica a distanza, tanto vituperata ma così importante in emergenza. Non occorre solo fare molto per migliorare la connessione e l’alfabetizzazione informatica, ma bisogna anche chiedersi: nel caso in cui sia necessario usarla ancora, per una parte di alunni o per altri periodi, come renderla davvero inclusiva? Perché il vero problema della Dad (altro acronimo che si va ad aggiungere al Ptof, al Pei, al Ravetc) non è tanto che non può sostituire la scuola in presenza – questo è ovvio, ma nei mesi scorsi non si è potuto fare diversamente – quanto il fatto che non riesce ad arrivare tutti. Resta escluso chi non conosce abbastanza la lingua italiana per poter essere aiutato, chi proprio non ce la fa, non se la sente, chi non ha nessuno alle spalle, chi non ne aveva voglia già in classe e approfitta della situazione per nascondersi (ma la scuola non può permettersi di ignorarlo). E allora sarebbe necessario prevedere un potenziamento della mediazione culturale, un intervento specifico dei servizi sociali”.