Quell’università sempre meno amata…

Dal 2008-2009 il numero delle matricole diminuisce sensibilmente, scendendo sotto il 50% dei diciannovenni. D’altra parte il picco degli iscritti era stato raggiunto nei primi anni del secolo, in conseguenza dell’introduzione del 3+2 e di una certa generosità di alcuni atenei nel riconoscimento di crediti legati a determinate attività professionali. Poi, già a partire dal 2004-2005, il numero assoluto delle matricole è sempre sceso, soprattutto al Sud, dove cala anche il numero complessivo degli iscritti.

Per la prima volta, ma solo in parte in conseguenza del calo delle matricole, scende anche il numero dei laureati: 258.052 nel 2014, 37.616 in meno, il 12,72 per cento. Dati che fanno scendere l’Italia nella parte bassa delle classifiche europee.

Tra le ragioni che spiegano il fenomeno c’è lo scarso richiamo che l’università esercita agli occhi dei ceti meno favoriti: le indagini di AlmaLaurea hanno dimostrato che la crisi occupazionale provocata dalla recessione ha colpito maggiormente questi ceti, visto che tra il 2006 e il 2014 il tasso di occupazione dei giovani provenienti da tali famiglie si è ridotto del 10%, a fronte di una riduzione di 3 punti per i giovani provenienti dalle famiglie più favorite.

Le indagini svolte dall’Istat, dalla stessa Almalaurea e dalla Banca d’Italia sulle chances occupazionali e sulle retribuzioni dei laureati, confrontate con quelle dei diplomati, mostrano inoltre che le modeste differenze non giustificano gli anni di studio in più, e i costi supplementari a carico delle famiglie.

Esistono però almeno altre due ragioni strutturali del ritardo dell’Italia rispetto a quasi tutta l’Europa e agli altri Paesi dell’area Ocse, come Tuttoscuola sottolinea da tempo: la prima è l’eccessiva durata della scuola prima dell’università, che andrebbe ridotta di un anno. La seconda è la mancanza di vere alternative all’università nella formazione superiore. Si sarebbe potuto (dovuto), già 15-16 anni fa, colmare tali lacune: ci pensarono sia Luigi Berlinguer (che fece l’errore di ridurre la scuola di base anziché la secondaria superiore) sia Letizia Moratti, che dopo un’iniziale apertura fece una rapida marcia indietro. Entrambi bloccati dalla coalizione trasversale dei licealisti.

Quanto all’istruzione superiore tutti i tentativi di creare una forte e competitiva alternativa all’università sono stati di fatto finora bloccati da un’altra coalizione trasversale: la lobby degli universitari. Che hanno finito per realizzare uno storico autogol.