Quel grembiule populista che spacca destra e sinistra

I sondaggi d’opinione dicono che oltre l’80% degli italiani sarebbe favorevole a reintrodurre a scuola l’uso del grembiule “contro la mania delle griffe“. Quello promosso dal Corriere della Sera tra i suoi lettori fa ascendere la percentuale dei favorevoli all’82,9%, lasciando ai contrari un modesto 17,1%. Uno scarto troppo netto per non suscitare l’interesse dei politici, tanto che lo stesso ministro Gelmini ha fatto sapere di non essere pregiudizialmente contraria.

Fino a qualche anno fa un dato di questo genere sarebbe stato impensabile: prevaleva anzi, tra molte famiglie, il desiderio di “personalizzare” l’abbigliamento dei figli, di renderlo quanto più trendy. Ma la rincorsa all’ultima moda, stimolata anche da non disinteressate campagne pubblicitarie rivolte direttamente ai giovani, ha finito per creare problemi alle famiglie, sia di tipo psicologico-relazionale (come opporsi alle crescenti richieste dei figli?) sia d’ordine economico, considerati i costi da sostenere e la stagnazione dei redditi da lavoro.

In realtà dietro l’adesione di massa alla proposta di “tornare al grembiule” sta quasi certamente una domanda più ampia e complessa: quella di restituire alla scuola e alla frequenza scolastica quegli elementi di semplicità e di frugale essenzialità che un tempo essa possedeva, almeno nell’immaginario collettivo: una scuola meno dispersiva, centrata sui saperi di base, più ordinata, magari anche un po’ più severa, più attenta alla sostanza che alla forma.

Se le cose stanno così, si spiega perché la proposta sta raccogliendo consensi (come anche minoritari dissensi) sia a destra che a sinistra. Sotto il grembiule si nasconde il desiderio diffuso di una scuola di base restituita al suo compito fondamentale, la socializzazione culturale primaria delle nuove generazioni. Un compito che concerne tutti i bambini, nessuno escluso. Il grembiule, uguale per tutti, è forse percepito come il simbolo di questo compito “egualitario”.