Quei bambini precocemente ultras

A Torino gli ultras della Juventus sono stati interdetti per cori razzisti e offensivi, e la società ha deciso di rimpiazzare le curve vuote dello stadio con 12.500 bambini e ragazzini.

Un bel gesto, indubbiamente. Ma l’effetto è stato sorprendente, perché i giovani tifosi si sono comportati quasi come gli ultras adulti, accompagnando con cori offensivi le prestazioni del portiere della squadra avversaria.

Il giudice sportivo ha multato la società juventina “per avere suoi (giovanissimi…) sostenitori rivolto ripetutamente ad un calciatore della squadra avversaria un coro ingiurioso”.

La società bianconera ha dichiarato “sconcerto per l’ammenda comminata dal giudice sportivo”, ma ha deciso di fare buon viso a cattivo gioco, auspicando per la prossima partita, presenti i ragazzini, che “gli usuali frequentatori degli stadi possano trovare modalità civili di interazione con i protagonisti in campo”.

Diversi quotidiani hanno stigmatizzato l’accaduto (anche se sul web c’è chi ha difeso il comportamento dei piccoli tifosi perché il sostegno alla squadra del cuore comprenderebbe anche gli attacchi verbali agli avversari, una sorta di pacchetto all inclusive, come si dice adesso nelle offerte commerciali).

L’Osservatore Romano ha preso una decisa posizione titolando così: “Senso di appartenenza al club vissuto come licenza di oltrepassare i limiti”.

Era buona l’intenzione ma “i giovanissimi hanno insultato per tutta la partita il portiere avversario, in modo plateale e volgare, seguendo una pratica evidentemente imparata dai più grandi”. 

Il tutto, osserva il quotidiano vaticano, “in nome di un senso di appartenenza vissuto come contrapposizione estrema e come licenza a oltrepassare legittimamente qualsiasi limite. Del resto, se ti insegnano che sei migliore degli altri solo perché appartieni a un gruppo piuttosto che a un altro, finisce che ci credi e allora l’insulto diventa la naturale rivendicazione della propria supposta superiorità. Ma questo episodio probabilmente non servirà a cambiare mentalità”. 

Per l’Osservatore Romano, “forse, oltre alle scontate e giuste condanne, si potrebbe cominciare a spiegare, ai bambini almeno, che non esiste una differenza antropologica tra un tifoso e un altro, che i colori del cuore sono per lo più ereditari e proprio per questo tutti legittimi”.

C’è una nuova emergenza per la scuola? Forse sì: educare ad un uso diverso dello sport vissuto.