Quale via per il professionismo dell’insegnante?

Nuova botta-e-risposta nella disputa tra abilitati attraverso i Tfa e futuri Pas. Dopo la risposta di Monica Guido all’email di Cristina Musarra, pubblichiamo ora la risposta di quest’ultima alla prima.

Invitiamo altri lettori interessati a intervenire sull’argomento, o a offrire nuovi spunti di dibattito, a scriverci come di consueto a botta_e_risposta@tuttoscuola.com.

Gentile Monica Guido,

rispondo alla sua lettera qui di seguito:

Se quella dell’insegnante non è un lavoro, ma una missione o una vocazione la collega farebbe meglio a rinunciare al proprio stipendio. Queste affermazioni sviliscono il mestiere dell’insegnante, che è e deve essere un professionista, non un crocerossino, un volontario, un santo, ma un “tecnico” che trasmetta le nozioni ai ragazzi tramite tecniche apprese con l’esperienza e la formazione continua. Sono discorsi che fanno male alla scuola quelli sulla vocazione, che fanno male ai ragazzi stessi.

Non ho mai parlato di vocazione o di missione. Dicendo che “la scuola non è fatta per dare lavoro agli insegnanti”, intendo sottolineare come troppo spesso si consideri la scuola da una prospettiva poco sana, quella di chi si chiede: “Come facciamo a dare lavoro a tutte queste persone?”. È lapalissiano che questo atteggiamento tolga importanza alla prospettiva prioritaria del: “Come educare nel miglior modo possibile le nuove generazioni?”.

Mi pare che oggi un giornalista abbia ben espresso questo concetto, parlando di “un modello di scuola che sembra ritagliato per garantire il presente agli insegnanti, ma non un futuro agli studenti”: credo che l’Italia non possa andare avanti così, i nostri ragazzi si meritano molto di più.

Io infatti sono per la formazione continua, anche mentre si lavora e si è di ruolo, come i geologi, che ogni hanno devono frequentare corsi di aggiornamento. 

Bene, condivido anch’io questa idea.

Le persone di cui parla la collega sono laureate…

Tutti gli esperti di didattica sono concordi nel dire che non basta conoscere una materia per saperla insegnare. Perché, secondo lei?

Lei stessa insiste sul fatto che “l’insegnante è e deve essere un professionista”. Concordo anche su questo e, proprio in base a questa idea, credo che sia un professionista più qualificato colui/colei che ha seguito un percorso formativo ad hoc, che vada oltre la laurea, acquisendo ulteriori e specifici strumenti didattici, pedagogici, ecc.

Il tirocinio lo hanno fatto con le supplenze.

Quella è esperienza, sì, certamente importante, ma non si tratta di un vero e proprio TIROCINIO, poiché un supplente:

–          non ha mai avuto l’occasione di osservare continuativamente in classe un collega esperto;

–          non ha mai avuto l’occasione di ricevere da un tutor esperto dei feedback sulla propria didattica e sulle dinamiche relazionali che instaura coi ragazzi;

–          non è mai stato VALUTATO da un tutor esperto rispetto al suo lavoro. [Nel peggiore dei casi, potrebbe dunque essere anche una persona che fa danni in classe].

Questo tirocinio è il valore aggiunto di un percorso formativo mirato per la formazione dei docenti, non solo gli esami da lei citati.

Si vuole valorizzare l’esperienza e il servizio, benissimo: allora perchè non restituire dignità all’altissimo valore formativo che ha una vera esperienza di tirocinio (osservativo e attivo, come già nelle vecchie SISS e poi nel TFA)? Se cerchiamo su un qualsiasi dizionario il termine “Tirocinio”, ci troviamo di fronte ad una definizione del tipo: ‘Addestramento pratico iniziale nell’esercizio di un’arte, di una professione, di un mestiere, compiuto sotto la guida di una persona esperta.’
Non basta infatti buttarsi nella pratica, se questa non è corretta, seguita e ricalibrata dal supporto di un esperto, per poi essere rielaborata personalmente.

Ora che ci siamo dentro però non si può e non si deve togliere il lavoro a chi già lo fa da anni.

Non è che se uno apre uno studio dentistico e si cimenta a fare il dentista per un po’ è per forza bravo. Può esserlo, ci mancherebbe, così come a volte quello qualificato non lo sarà (la solita obiezione), ma qui stiamo parlando di un SISTEMA NAZIONALE di reclutamento: si tratta dunque di vagliare i criteri migliori per formare gli insegnanti. Lei si farebbe curare da un dentista solo perché ha 3 anni di servizio, senza altre garanzie? Io no.

E per i miei figli vorrei insegnanti selezionati non soltanto sulla base delle supplenze svolte.

Non posso credere che sia un test a crocette a valutare le competenze e conoscenze di un docente. Una mia collega di ruolo e vicepreside ha provato a fare il test del tfa e non lo avrebbe superato. E alì’epoca fu molto criticato per l’eccessivo e “stravagante” nozionismo. 

Inutile prendersela con i test: tutti i test e concorsi hanno elementi di criticità e perfezionabilità, secondo me (proprio perché questo tipo di valutazione è molto difficile), ma se una legge statale stabilisce quel test come criterio di accesso, allora è scorretto recriminare a posteriori.

Visto che il resto della sua lettera evidenziava, giustamente, gli “errori decennali” dei passati ministri (su cui di nuovo concordo), chiudo questa mia risposta ribadendo che la mia rabbia oggi non è nei confronti dei passini, ma è tutta per il MIUR. Un Ministero che per molti anni è stato cieco di fronte al graduale complicarsi della situazione della scuola italiana e che negli ultimi mesi ha reso ancora più intricata la questione, tirando fuori dal cilindro varie novità, spesso in contraddizione tra loro (si veda, per es., il ragionamento sacrosanto sul fabbisogno: ora che le domande di iscrizione ai PAS risultano essere fino a 10 volte superiori ai posti calcolati l’anno scorso, mi chiedo a cosa sia servito creare il TFA…).

Dovremmo far sentire la nostra voce insieme per protestare contro queste dinamiche assurde, ma vedo che i poteri hanno buon gioco nel vederci nemici e, anziché darci delle risposte serie, lasciano che ci “scanniamo” tra tieffini e passini. Daranno poi, con ritardo, un contentino a tutti, mentre noi ci logoriamo per mesi…

Proprio a fronte di questo quadro così delicato, spero che queste righe possano essere occasione di riflessione per Tuttoscuola, intesa da me soprattutto come riflessione sui METODI di formazione-insegnanti: posto che i docenti PAS abbiano tanta esperienza e siano quindi probabilmente molto in gamba, il fatto che NESSUNO entrerà nelle loro classi per valutarne l’insegnamento vi sembra davvero un buon metodo per assicurare una buona istruzione ed educazione alle future generazioni?

Un saluto,

Cristina Musarra