Prove Invalsi 2019: cosa dicono i risultati. La casualità dell’apprendimento scolastico

Anche quest’anno, superato il periodo degli esami di Stato, il dibattito sui problemi della scuola che puntualmente si sviluppa con il loro svolgersi, si è concluso senza che si manifestassero segni evidenti di una presa di coscienza, quanto meno delle questioni più rilevanti da parte dei principali decisori politici, peraltro, in questa occasione, distratti dalla crisi del governo Giallo-Verde, Lega-Movimento 5 stelle. Quest’anno si sarebbe sperato invece – e nonostante l’apertura della crisi politica- in una maggiore durata del dibattito e in un più articolato approfondimento dei problemi, poiché questa volta la ri-scoperta, ormai, liturgica da parte dei media dell’inadeguatezza general-generica del sistema scolastico alle esigenze dell’oggi e del domani, è coincisa con la pubblicazione dei risultati delle prove Invalsi, somministrate per la prima volta, nella passata  primavera, anche agli studenti dell’ultimo anno della scuola secondaria superiore. Ne abbiamo parlato nel numero di ottobre in un articolo a firma di Gaetano Domenici, Presidente della Fondazione Roma 3 Education.

Leggi il numero di ottobre di Tuttoscuola

Quelle prove Invalsi hanno potuto offrire, coinvolgendo quasi l’intero universo dei “maturandi” (il 96.4%), informazioni di grande rilievo. I dati relativi alle prove di Italiano, Matematica e di Lingua inglese, obbligatorie, anche se non decisive per l’ammissione agli esami di Stato, hanno, tra l’altro, messo in evidenza, così come emerge dal Rapporto prove invalsi 2019” i seguenti aspetti generali sull’apprendimento conseguito dagli allievi della nostra scuola:

  1. La distribuzione dei risultati formativi decresce passando dal Nord Est, al Nord Ovest, al Centro, al Sud e alle Isole (p. 4, 10):
  2. La media dei risultati, dal Centro in giù, è quasi sempre inferiore alla media nazionale (p.10);
  3. I livelli di apprendimento scolastico, soprattutto al Sud e nelle Isole, decrescono anziché aumentare con il crescere degli anni di scolarità;
  4. Poco più di un terzo degli studenti hanno gravi difficoltà di comprensione di testi scritti semplici.

Sono informazioni che nel loro insieme, a prescindere dalla rivisitazione di alcuni criteri di misura e dalla specificità e analiticità del significato  che possono assumere per i diversi pubblici ad essi interessati (studenti e loro famiglie; docenti; opinione pubblica, ricercatori, eccetera) hanno di fatto confermato – ed è questo il punto che con questa serie di interventi si vuole approfondire–un quadro conoscitivo sulla (dis)funzionalità del sistema ampiamente noto ai decisori politici via via succedutisi nella vita politica italiana. Un quadro noto da molto, anzi da troppo tempo, se si considera che, purtroppo, non una e una sola decisione, delle tante (troppe) assunte per modificare il sistema scolastico del nostro paese, risulterebbe fondata su dati ad alto livello di attendibilità relativi al reale assetto funzionale del sistema, ai suoi punti forti e critici resi pubblici da meritorie  e rigorose indagini sull’apprendimento conseguito dagli studenti al termine dei diversi cicli di studio.

Facendo riferimento ai dati e alle informazioni messi a disposizione da queste indagini, non è difficile scoprire che quelli offerti dall’Invalsi sulle competenze in lingua italiana, matematica e inglese, anche dei nostri maturandi, aggiungono, certo, ulteriori e preziose informazioni al quadro conoscitivo già disponibile, tuttavia non alterano significativamente le caratteristiche e gli elementi strutturali del quadro delle conoscenze di cui già si disponeva. Come a dire che per migliorare processi e prodotti dell’istruzione e della formazione, i governi succedutisi a partire dalla pubblicazione dei risultati delle prime indagini, potevano ben poggiare le loro decisioni di riforma totale o parziale del sistema, anche (e soprattutto) su dati empirici assunti attraverso ricerche specifiche sull’apprendimento, in grado di rispecchiare pregi e punti forti, ma anche   limiti e punti critici del sistema scolastico.

Gli esiti e la distribuzione dei risultati delle prove Invalsi rilevati nei mesi scorsi risultano, infatti, se non geometricamente sovrapponibili, certo “strutturalmente” assai simili agli esiti,  e alla loro distribuzione, colti – come si è accennato nel precedente intervento –  dalla quasi totalità delle indagini sul prodotto culturale della scuola, a partire dalla ricerca internazionale  IEA (International Association for the Evaluation of Educational Achievement) del 1970,  la prima cui il nostro paese abbia partecipato.

 Da allora, come si è detto, successive indagini IEA-TIMSS, sul profitto in Matematica e Scienze al quarto e ottavo anno di scuola, e IEA-PIRLS sulle abilità di lettura al quarto anno di scolarità; ma anche e soprattutto l’Indagine sul profitto scolastico nelle scuole secondarie superiori sperimentali promossa  dal MPI-CNITE (Centro nazionale italiano tecnologie educative), i cui esiti sono stati  pubblicati dall’Istituto dell’Enciclopedia Italiana nel 1979; e, ancora, la ricerca Uno specchio per Minerva, promossa dall’IRI, con Romano Prodi presidente, sulle competenze dei diplomati che facevano domanda di assunzione alle aziende del gruppo (Edindustria 1990) che ha messo peraltro in evidenza il peso dei fenomeni e delle mode culturali sull’insegnamento e sull’apprendimento, fino alle indagini volute dall’OCSE  con il progetto PISA (Programme for International Student Assessment) hanno posto in risalto, tutte, nessuna esclusa, alcuni dati comuni sulla distribuzione dell’apprendimento. Questi risultati, tra i tanti altri specifici di ciascuna ricerca, si presentano sempre uguali a sé stessi, ovvero con andamento costante, tanto da marcare peculiarmente la produzione di saperi, conoscenze e competenze da parte della struttura scolastica del nostro paese.

Dalle indagini svolte in circa mezzo secolo sono in altri termini emerse evidenze empiriche dalle quali si evince che quale che sia il valore medio dei risultati formativi della scuola italiana, considerata in sé, o in relazione alle scuole di altri Paesi, la “distribuzione” del prodotto culturale scolastico (e se si vuole in qualche modo la produttività del sistema e delle sue articolazioni) in particolare nelle diverse aree geografiche, nei centri e nelle periferie dei grandi agglomerati urbani, in rapporto alle dimensioni e  al tipo di scuola, rimane pressoché “Costante” nel tempo. È come se alcune variabili educative più di altre risultassero a tal punto in grado di caratterizzare peculiarmente gli esiti formativi assoluti e relativi della scuola italiana lungo l’asse del tempo, da configurarsi nella loro reciproca interazione come concausa permanente, apparentemente irremovibile e immodificabile, della fissità della distribuzione dei risultati e quindi della immodificabilità della “funzionalità” del Sistema e delle sue articolazioni interne. Una sorta di Fattore K che impedirebbe ogni possibilità di trasformazione.

Abbiamo approfondito questo tema in un articolo pubblicato all’interno del numero di ottobre di Tuttoscuola.

Clicca qui per leggere l’articolo integrale e sfogliare il numero di ottobre

Entra nella nostra comunità, scopri la Membership di Tuttoscuola: avrai un anno di informazione, formazione e supporto operativo!