Orizzonti/3. La strada per ‘imparare a imparare’ (che è quel che conta)

La principale competenza per questa e per le prossime generazioni sarà la capacità di imparare a imparare nel corso della vita, competenza che ha le sue radici in una solida formazione iniziale in campo linguistico, matematico-scientifico e informatico, che è anche oggetto privilegiato delle principali indagini comparative internazionali. Per queste attività formative, pur in un quadro di forte personalizzazione degli itinerari individuali, dovrebbe essere definito un core curriculum obbligatorio dai 3 ai 16 anni (con attenzione anche attenzione alla fascia 0-3 anni), provvedendo al sostegno sistematico degli alunni che incontrano difficoltà. Per le altre discipline, già a partire dalla scuola secondaria di primo grado, dovrebbe essere consentita ai corpi docenti la massima flessibilità nella definizione dei contenuti e degli obiettivi di apprendimento, e una valutazione esclusivamente formativa, valorizzando attitudini e potenziali individuali.

Si sta andando in questa direzione? Non ci sembra, anche se nel citato rapporto finale della commissione Bianchi, che è un documento tecnico-scientifico importante ma di valore consultivo, non mancano considerazioni e indicazioni di notevole interesse in materia di personalizzazione e di superamento delle “gabbie del ‘900”. Per raccogliere queste suggestioni la ministra dell’istruzione Azzolina dovrebbe (avrebbe dovuto?) puntare decisamente sul superamento di una di quelle gabbie, il primato pressoché esclusivo della didattica in presenza, sfidando in campo aperto l’anatema pronunciato da Asor Rosa e altri intellettuali passatisti verso la DaD. Invece si è limitata a concepire le attività didattiche diverse da quelle svolte in presenza solo come eventuali, complementari e integrative, come mostra bene il pur pregevole per molti aspetti documento intitolato Linee guida per la Didattica digitale integrata. Si sarebbe dovuto (si dovrebbe) considerare la didattica mista o ibrida, o integrata, come la forma ordinaria della didattica, una prima scelta insomma, non una seconda scelta subordinata all’emergenza. Sarebbe (stata) una scelta lungimirante, che si sarebbe potuta fare già nel mese di aprile, come Tuttoscuola aveva suggerito di fare prospettando tre scenari per la ripresa delle attività a settembre 2020 tra i quali anche quello della impossibilità di tornare alla didattica tradizionale a causa della ripresa della pandemia.

Siamo ancora in tempo? In altri Paesi europei e negli USA si sta discutendo (e decidendo, come in Germania) di turnazioni, riduzione dell’orario, alleggerimento dei carichi curricolari. Sono stati potenziati i programmi radiotelevisivi che sul modello di quelli inaugurati dalla BBC trasmettono anche via internet interi corsi a tutti i livelli di scuola. Negli USA accanto allo homeschooling si stanno rapidamente espandendo l’hybrid schooling, una formula che riduce a 2-3 giorni la tradizionale didattica in presenza integrandola con quella a distanza e/o flipped con forte coinvolgimento dei genitori, e le microschools, classi di 15 alunni al massimo anche di età diversa (mixed-age level groupings), seguiti in presenza, online e a distanza da docenti specializzati. Ci si prepara insomma a modalità didattiche multimediali e online che in varia misura integrano o addirittura sostituiscono (come nel caso dell’homeschooling) la didattica in presenza.

Il rischio che corre la scuola italiana (e con essa l’intero Paese) è insomma che resti la stessa (se va bene), e che vada sprecata l’opportunità di un suo radicale cambio di paradigma convertendo in positivo il dramma della prolungata chiusura delle sue sedi fisiche provocato dal lockdown. Come? Consentendo alle scuole di sperimentare il futuro, a partire da quelle che già si sono avviate o sembrano guardare nella direzione del superamento della classe chiusa e degli standard uniformi riferiti a livelli di prestazione rigidamente predefiniti (criterion based standard).