Nuova maturità alla frutta. Urge cambiare

Ma funziona o no questa nuova maturità, sviluppatasi negli ultimi anni lungo la direttrice Berlinguer-Moratti, che ha valorizzato la valutazione interna, legata al curricolo, a scapito di quella esterna, legata alle prove d’esame, che è stata praticamente azzerata?

La stampa ha dedicato ampio spazio alle polemiche sul carattere più o meno berlusconiano delle prove di italiano assegnate alla maturità di quest’anno, ma poca attenzione ha riservato, con rare eccezioni, al tema di fondo: serve davvero un esame finale che assomiglia sempre di più alle prove di fine anno che quasi tutti gli insegnanti già fanno sostenere ai loro allievi? E serve davvero una procedura di assegnazione dei voti che assomiglia a uno scrutinio finale, visto che ne sono protagonisti gli stessi insegnanti che gli allievi avevano nel corso dell’anno?

In Italia è la Costituzione ad esigere che ogni ciclo scolastico inizi o si concluda con un esame di Stato. Se non ci fosse questa prescrizione, nulla impedirebbe di fare come già si fa in alcuni Paesi del Nord Europa, dove l’esame semplicemente non c’è: è sostituito da una valutazione sintetica che tiene conto di tutti i risultati ottenuti dagli allievi nel corso degli studi. Una specie di super “credito scolastico”, per dirla col linguaggio dell’esame italiano.

Se si vuol mantenere, invece, per motivi di rispetto della Costituzione e anche per altre ragioni (mantenimento del valore legale del titolo, trasparenza delle certificazioni, standard sempre più internazionali) un esame degno di questo nome, è chiaro che esso non potrà essere gestito dagli “interni”. Dovrà essere organizzato e gestito da un’autorità esterna, come peraltro in parte prevede la stessa riforma Moratti, che affida il compito di predisporre “prove” al costituendo Istituto Nazionale di Valutazione (erede dell’attuale INVALSI). Bisogna sapere però che si tratterà di un’impresa ardua, e anche costosa. Se ne rendono pienamente conto gli attuali decisori politici (ed economici)?