Lotta a uso cannabis: più educazione meno (inefficace) repressione

Si fa fatica a non commuoversi per le parole pronunciate da Antonella Riccardi, la madre adottiva del giovane di 16 anni che si è tolto la vita lunedì durante una perquisizione domiciliare, in occasione dei funerali del figlio. E non solo per quelle che ha rivolto direttamente al ragazzo: “Perdonami per non essere stata capace di colmare quel vuoto che ti portavi dentro da lontano”, ma anche per l’appello rivolto ai suoi compagni, e in generale ai giovani della sua età: “Diventate protagonisti della vostra vita e cercate lo straordinario. Straordinario è mettere giù il cellulare e parlarvi occhi negli occhi. Invece di mandarvi faccine su WhatsApp, straordinario è avere il coraggio di dire alla ragazza ‘sei bella’ invece di nascondersi dietro a frasi preconfezionate. Straordinario è chiedersi aiuto proprio quando ci sembra che non ci sia via di uscita. Per mio figlio è troppo tardi ma potrebbe non esserlo per molti di voi, fatelo”.

Un invito a rapporti più aperti e leali tra i giovani, tra di loro e con gli adulti. Un invito a “chiedersi aiuto” e a “fare rete” perché “non c’è vergogna se non nel silenzio”.

Belle e commoventi parole che non mi impediscono però – parlo a titolo personale – di proporre una riflessione che va oltre il fatto di cronaca. Ferme restando tutte le controindicazioni di carattere medico, psicologico e sociale a sostegno del più fermo contrasto alla circolazione e al consumo  delle droghe in generale, mi chiedo se la tragedia di cui parliamo, legata a quanto risulta a un modesto utilizzo di cannabis, non avrebbe potuto essere evitata distinguendo il consumo di spinelli, che coinvolge milioni di persone, quasi tutte giovani, da quello delle altre droghe.

Il dubbio che mi è venuto è questo: se in Italia la produzione, la distribuzione e il consumo di cannabis fossero state non liberalizzate – come di fatto lo sono nell’attuale mercato selvaggio – ma piuttosto  legalizzate (una proposta avanzata da tempo dai radicali, ma condivisa da uno schieramento trasversale, come trasversale è lo schieramento dei proibizionisti) forse la madre di Lavagna non avrebbe pensato che il figlio stava commettendo un reato, perciò non avrebbe chiamato la Guardia di Finanza, e forse suo figlio sarebbe ancora vivo.

Il problema non è di principio, ma di efficacia della policy che viene adottata. Data la vasta diffusione tra i giovani degli spinelli occorrerebbe insomma fare come per le sigarette: avvertire che la cannabis fa male, regolamentarne la produzione (in Italia oggi solo lo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze la può produrre legalmente) e consentirne la distribuzione, per esempio tramite le farmacie e gli ospedali. Sarebbe anche un modo efficace per togliere risorse imponenti alla grande e alla piccola criminalità, che affolla tante carceri italiane, e si potrebbe destinare i ricavi della vendita alla lotta contro le droghe pesanti e a una campagna di dissuasione dallo stesso consumo di cannabis.

I fatti dimostrano che la sola proibizione della cannabis non basta, e crea più problemi di quelli che nelle intenzioni vorrebbe risolvere. La via maestra è quella della convinzione e della educazione, togliendo ai potenziali consumatori di spinelli il fascino della trasgressione.