Liceo Classico: che ne è stato a tre anni dalla sua assoluzione (con la condizionale)?

Più di tre anni fa, l’11 aprile 2014, si è celebrato nel liceo classico E.Q. Visconti il processo intitolato “L’In-attualità del Liceo classico?” la cui sentenza, dopo un serrato confronto tra accusa e difesa, è stata un’assoluzione con condizionale: il Liceo Classico, singolare imputato accusato di essere ormai obsoleto, veniva assolto ma a condizione di sapersi rinnovare. Tale rinnovamento veniva individuato nella capacità di raccordarsi efficacemente col mondo reale, intensificare pratiche laboratoriali, incrementare le conoscenze e le pratiche tecnico-scientifiche, accrescere la conoscenza delle lingue straniere, ampliare la dimensione europea, attuare un collegamento col mondo del lavoro, accantonare una didattica antiquata ritenuta spesso ferma ad uno sterile grammaticismo per approdare ad una didattica per competenze. Ne abbiamo parlato nel numero di dicembre di Tuttoscuola in un articolo firmato da Clara Rech, proprio la dirigente scolastica del liceo Visconti.

Da quel momento sono accadute molte cose, per cui mi pare opportuno sviluppare qualche riflessione, essendo il tema sempre molto attuale e decisamente cruciale per il futuro del nostro Paese. Tra i molti accadimenti possiamo menzionare soprattutto l’ampliarsi del dibattito con il moltiplicarsi degli interventi sui media di autorevoli personalità della cultura, l’organizzazione di altri simili convegni, la costituzione di una Rete Nazionale dei Licei Classici. Diversi licei classici hanno inaugurato sezioni di International Cambridge School, magari introducendo nuove discipline assenti dal curricolo tradizionale quali Economics, come ha pensato di fare il liceo Visconti. Anche la crisi di iscrizioni ha subito una battuta d’arresto e, anzi, ha registrato lo scorso anno una sia pur lieve ripresa.

Il dibattito non cessa di essere intenso e di coinvolgere periodicamente persone attente a vario titolo al mondo della scuola e dell’educazione. Tornare agli esiti di quel processo può essere ancora utile per riflettere più approfonditamente sui nodi concettuali di rilievo alla luce di ciò che è accaduto dopo. Le osservazioni che seguono devono molto al contributo di un genitore-docente universitario del liceo Visconti, qualche tempo dopo la celebrazione del processo, il prof. Alberto Petrucci.

Anzitutto, la sentenza riguardava soprattutto il Liceo Classico del passato e non quello del presente che, al di là dei cambiamenti curricolari imposti dal ministero, ha già da molti anni provveduto ad un aggiornamento dei suoi contenuti e delle sue pratiche didattiche. È un fatto che l’attuale liceo classico ha ampliato le conoscenze scientifiche e quelle delle lingue straniere, ambiti nei quali erano le più gravi carenze curricolari.

Discipline tradizionali come la Storia, pongono ormai stabile attenzione anche allo studio delle istituzioni e del loro funzionamento, ad aspetti socio-demografici, all’evoluzione degli assetti sovra-nazionali. La Filosofia viene trattata in modo ben più ampio che non come una semplice Storia della Filosofia. Si affronta la logica, l’estetica, l’evoluzione del pensiero scientifico moderno, la filosofia del diritto. Soprattutto, lo studio del Latino e del Greco non si esaurisce certo in un sterile e asfittico grammaticismo, ma si estende alla comprensione del pensiero e della cultura della civiltà classica, senza dimenticare il rigore dell’interpretazione e traduzione del testo che ha di per sé il più alto valore formativo, come meglio vedremo in seguito.

Probabilmente fino a qualche tempo fa poteva essere diffuso il pregiudizio di considerare le discipline umanistiche di rango superiore. Ma se c’è un indirizzo di studi che fin dalla sua istituzione ha cercato di eliminare la separazione tra discipline umanistiche e discipline scientifiche è proprio il Liceo Classico che trae origine dalla Ratio studiorum dei Gesuiti che dell’unità del sapere avevano fatto un loro caposaldo. E, d’altro canto, occorre fare attenzione a non commettere l’errore speculare, dando una sorta di primazia ai saperi tecnico-scientifici, cui oggi sembrano legati i destini delle economie e del progresso delle nazioni.

È per altro ampiamente pacifico che gli studi classici necessitino di un approccio altamente scientifico, dal momento che stimolano nei giovani la capacità critica e li formano al problem setting e al problem solving. Tale constatazione trova ampio riscontro anche negli ottimi esiti formativi del classico nel mondo universitario e nel mercato del lavoro (rilevazioni Alma Laurea). Infine, molte delle critiche rivolte al Liceo Classico possono essere rivolte all’intero sistema scolastico italiano e di certo la caduta delle iscrizioni non è dipesa dalla sua presunta inattualità ma da altri fattori, non ultima la complessità e la fatica degli studi classici che scoraggiano molti giovani, i quali sono sovente alla ricerca di un titolo di studio da conseguire con uno sforzo contenuto.

Sostiene Antiseri (2012, p. 7): “Il mito delle due culture, quella scientifica e quella umanistica, con il connesso pregiudizio di un diverso metodo di indagine per i due ambiti, si è rovesciato sulla scuola alimentando, in un crescendo pericoloso, la falsa e nefasta credenza che solo le scienze naturali, la matematica e oggi l’informatica siano le discipline degne di una scuola seria e che, di conseguenza, gli studi umanistici, privi del crisma della scientificità, costituirebbero unicamente una specie di inutile ornamento. Ebbene, questa è una concezione semplicemente falsa, oltre che dannosa. Falsa in quanto gli sviluppi della riflessione epistemologica e della teoria ermeneutica hanno mostrato a chiare lettere che la ricerca scientifica, in qualsiasi ambito venga praticata (in fisica e in storiografia, in filologia e in biologia, in psicologia e in economia, e così via) procede con il medesimo metodo”. Dunque il metodo unificato, che si basa sul paradigma della confutazione popperiano, procede per trial and error e impone una continua verifica empirica perché i cambiamenti possono modificare i fatti e quindi falsificare una teoria che, pertanto, dovrà essere sostituita da un’altra in grado di rispondere al diverso assetto fenomenologico. Come ampliamente rilevato da Antiseri, l’insegnamento per problemi può avere molte e importanti ripercussioni sulle menti in formazione degli studenti e comporta l’interdisciplinarietà – oltreché la multidisciplinarità – l’uso pedagogico dell’errore, il ruolo ermeneutico-scientifico delle traduzioni, la pratica del tema argomentativo, i riassunti come pratica scientifica, l’introduzione di elementi di storia della scienza nell’insegnamento delle scienze naturali e così via.

E qui trova forza il Liceo Classico che insegna a risolvere problemi, non ad eseguire esercizi; cioè a elaborare nuove teorie piuttosto che applicare una teoria risolutiva già data. Prendiamo il campo di prova tipico di questo liceo, la traduzione. Qui ci si muove su un campo ignoto che sollecita l’immaginazione e non in una dimensione applicativa già nota in cui è sufficiente un buon addestramento e una destrezza esecutiva.

Per Phelps solo la cultura umanistica può trasmettere ai giovani le capacità per affrontare le sfide del futuro e favorire il dinamismo economico che è risultato di creatività, pensiero critico, comprensione della complessità non meccanica. Ciò genera un meccanismo autopropulsivo in grado di aumentare il reddito aggregatoe medio e favorire l’accumulazione di ricchezza e la diminuzione della disoccupazione.

Per tutt’altre ragioni Nussbaum sostiene la necessità degli studi classici: la ricerca ossessiva di profitto e di aumento del PIL mina alla radice la democrazia di una società, privilegiando l’efficienza rispetto all’equità e la giustizia distributiva. La cultura umanistica preserva la salute mentale dell’individuo. Favorisce il ragionamento critico di tipo socratico, la cittadinanza democratica. Porta a considerare prospettive globali in cui, secondo un’ottica simpatetica, l’altro è considerato indispensabile per una relazione tra pari costitutiva di una società più giusta.

Oltre a questo, va considerato che si stima che oltre il 47% dei lavori che oggi conosciamo è destinato a scomparire nei prossimi due decenni. Ciò implica la necessità di formare i nostri giovani in modo flessibile e creativo evitando il più possibile di bloccarli in una stretta specializzazione o in una dimensione applicativa puramente tecnologica: di fatto, il tipo di lavoro che saranno chiamati a svolgere, probabilmente deve ancora essere inventato. Gli studi classici sembrano scongiurare questa evenienza. Essi coniugano capacità critica, originalità di pensiero e rigore logico-analitico.

Un ultimo argomento: il banco di prova dell’alternanza scuola lavoro. Per leggerlo ti invitiamo a sfogliare il numero di dicembre di Tuttoscuola.

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